13 – Lo stato delle istituzioni e le istituzioni dello Stato – CALL FOR PAPERS

Agli esordi dell’esplosione della pandemia Covid-19, il meme seguente circolava su internet:

Personaggio 1 – Beh, quanto terribile potrà mai essere?

Personaggio 2 – Gli anarchici radicali esortano le persone a obbedire allo Stato.

Personaggio 1. Espressione sconvolta.

Per il suo numero 13, La Deleuziana accoglie contributi originali sul tema “Lo stato delle istituzioni e le istituzioni dello Stato” alla luce della crisi multidimensionale della pandemia Covid-19.

Nel corso degli ultimi decenni, i dibattiti accademici sulle nozioni di capitalismo globale e di governo neoliberale non sono concordi rispetto al ruolo dello Stato. Alcune critiche, come quella del teorico del management Keniche Ohmae, hanno affermato che la sovranità dello Stato – l’autorità sulla sua popolazione e sul suo territorio – è stata destituita nel contesto di quello che sembra essere un mondo sempre più senza frontiere (Ohmae 1990; O’Brien 1992; Ohmae 1995). Un approccio più interessante viene dalle critiche post-strutturaliste, intente a indagare i luoghi del potere nella società moderna. Ispirandosi ai lavori di Michel Foucault, quest’ultime hanno sostenuto che l’accento posto dalla teoria politica moderna sullo Stato l’ha resa cieca alla natura diffusa del potere. Il potere circola in tutte le società in seno a diverse istituzioni che si impegnano a “condurre la condotta” degli individui allo scopo di produrre, in ultima istanza, individui in grado di autoregolarsi. La nozione di sovranità statale, la produzione di norme attraverso strumenti giuridici, ha ceduto il posto a un focus sulla governamentalità, ossia sulle tecnologie del potere quali la disciplina, la biopolitica, il controllo o la sorveglianza.

Una corrente alternativa, di ispirazione anarchica, mette in campo il concetto di governamentalità per sostenere che il cambiamento sociale non può essere ottenuto attraverso il confronto diretto con lo Stato, ma piuttosto attraverso tattiche di fuga attiva e impegnata, fugitive planning e altre strategie (Bey 1991; Graeber 2005; Harney e Moten 2013). Questa corrente richiede la creazione di comunità di intenti, che prefigurano e mettono in opera i cambiamenti da realizzarsi tra le fessure e i vuoti dello Stato. Tali critiche allargano il proprio campo d’indagine anche oltre l’organizzazione del lavoro e della produzione economica verso lo studio di nuove forme di sfruttamento, fondate sulle recenti trasformazioni delle tecnologie d’informazione e di comunicazione. Queste nuove forme estendono lo sfruttamento ai processi di soggettivazione e alla vita stessa, compresa nella sua dimensione culturale, sessuale e razziale. Se lo Stato non è più concepito come apparato ideologico o braccio armato del modo di produzione capitalista, la creazione di alternative non statali mira a svuotarlo dalla sua sostanza mostrandone l’inutilità, senza entrare per questo in conflitto diretto con esso (Zaoui, 2013).

Infine, un altro gruppo di critici sostiene che lo Stato contemporaneo è semplicemente stato riconfigurato nel mondo contemporaneo. Per alcuni, come per la teorica politica Wendy Brown (2010), lo Stato ha riorganizzato il proprio potere sovrano intorno a questioni di sicurezza territoriale e di sicurezza interna in una guerra contro le minacce interne o esterne (per esempio, l’immigrazione, il terrorismo, ecc.), da cui la proliferazione di frontiere e muri nel mondo. Per altri, come Michael Hardt e Antonio Negri (2000), una nuova forma di sovranità è emersa, nella quale lo Stato-nazione ha ceduto il posto a un potere decentralizzato e deterritorializzato che i due autori Impero. Altri ancora hanno mostrato che la governamentalità neoliberale non implica necessariamente una riduzione del ruolo dello Stato rispetto al mercato. Queste critiche mettono l’accento sui partenariati, sulle convergenze e a volte sulle competizioni che esistono tra gli Stati-nazione e le forze non statali, gli attori pubblici e gli attori privati, le giurisdizioni nazionali e le leggi internazionali, ecc. Producendo delle nozioni quali quella di “sovranità graduata” (2006) dell’antropologa Aihwa Ong, di “macchina sovrana della governamentalità” (2013) dei teorici marxisti Sandro Mezzadra e Brett Neilson, o di “extrastatecraft” (2014) dell’architetto Keller Easterling. Questi filosofi mettono in evidenza modelli complessi di governamentalità multiple e plastiche (sovrana, disciplinare, biopolitica).

La crisi del Covid-19 ha inevocabilmente mostrato che lo Stato resta un concetto politico importante, al centro delle relazioni tra potere e capitale. Quale ruolo gioca l’economia dinnanzi all’esigenza “biopolitica” del salvare vite, se non quello di assicurare la riproduzione delle relazioni sociali? I diversi stati d’urgenza, spazi di eccezione, restrizioni degli spostamenti o controllo delle frontiere hanno riportato il modello giuridico e statale della sovranità al cuore dell’analisi critica (Agamben 2020, Butler 2020, Zizek 2020). Ciononostante, la crisi ha messo a nudo anche l’eterogeneità degli Stati, siano essi “populisti” (Stati-Uniti, Brasile, Inghilterra), “storicamente socialisti” (Francia, Italia, Spagna), “etno-nazionalisti” (Israele, India) o “social-democratici” (Germania, Svezia).

Al contempo, la crisi del Covid-19 mette in luce ciò che Etienne Balibar ha chiamato una “governamentalità deficiente”, a causa di politiche neoliberali d’austerità che hanno smantellato nel profondo i servizi pubblici (2020). Tale crisi ha mostrato l’importanza delle istituzioni, a cominciare dagli ospedali e dalle università, per il benessere delle persone. Eppure, nel corso degli ultimi decenni, lo Stato ha sistematicamente minato le proprie istituzioni, con un sovraccarico dei servizi pubblici e la contemporanea riduzione dei finanziamenti, esigendo costantemente che esse facessero più con meno. In una certa misura, la crisi attuale è il frutto della decostruzione paranoica delle istituzioni di Stato da parte dello stesso Stato. Sarebbe allora forse più opportuno parlare di una disistituzionalizzazione dello Stato più che della sua destituzione.

Le istituzioni non sono fondate unicamente sull’imposizione di norme disciplinari attraverso l’interiorizzazione dei vincoli di condotta; esse possono essere luoghi in cui si inventano e si alimentano altre modalità del divenire sociale. Come modi collettivi del pensiero e d’azione che pre-esistono ai propri membri individuali, le istituzioni impediscono la riduzione delle norme a regole imposte dall’esterno. Gli attivisti lavorano da tempo su quello che potremmo chiamare un divenire-istituzione attraverso l’auto-organizzazione delle fabbriche, le autogestioni delle università e la creazione di forme di mutuo soccorso. Le istituzioni danno anche -e forse soprattutto- forma a ciò che è in comune; esse istituiscono il comune e lo iscrivono nel tempo (è in questo senso che chiamiamo istituzioni anche il linguaggio, la religione, le reti sociali, ecc.).

In piena crisi Covid-19, alcune iniziative comunitarie hanno compensato le mancanze dello Stato (ad esempio, la distribuzione di cibo, la produzione di mascherine, ecc.), contribuendo ad alimentare la conversazione pubblica sulla politica del comune. Tali iniziative mirano semplicemente a rimpiazzare le mancanze dello Stato? O rivelano i contorni di un nuovo Stato, almeno di un altro tipo possibile? Contribuiscono al mantenimento o al rinnovamento dei “servizi pubblici”, situati “a metà strada tra lo Stato e il Comune”, per riprendere il titolo di Balibar? Il dibattito pubblico sul ruolo dello Stato non ha dedicato la giusta attenzione ai modelli alternativi di istituzioni, ossia ai diversi modi d’essere in comune. Tale questione può svelare le linee di frattura tra diverse posizioni politiche – per esempio tra il Comitato invisibile e Frédéric Lordon. Mentre il primo rimprovera al secondo di essere incapace di “immaginare una rivoluzione che non sia una nuova istituzione”, il secondo difende una teoria dello “Stato generale” come produzione immanente del potere della moltitudine, come necessità socio-antropologica posta ai limiti del politico.

Infine, desideriamo dedicare una parte di questo numero alla questione, più specifica, dell’università, perché da ricercatrici e ricercatori, nonché da insegnanti, si tratta spesso dell’istituzione che ci riguarda in modo più diretto. Nel mondo intero, le università sono state attaccate da una combinazione pericolosa di autorità neoliberale e di anti-intellettualismo populista, a profitto diretto di élites economiche e politiche che fanno il gioco dell’estrema destra. L’insegnamento a distanza (DAD) e i corsi online potrebbero rappresentare un passo verso il sogno (o l’incubo) di alcune università prestigiose di creare e di dominare un mercato mondiale dell’educazione. Alla luce della crisi, noi abbiamo bisogno più che mai di una riconcettualizzazione dell’educazione come pratica emancipatrice (Freire 1970, Hooks 1994, Harney e Moten 2013).

La posta in gioco è la possibilità di sviluppare delle riflessioni collettive sul “divenire-istituzione” – processo di istituzionalizzazione quindi, da una parte, e movimento inverso, dall’altra, di destituzione del già dato. Questo include, senza limitarvisi, i modi di esistenza dell’istituzione, il suo ruolo di organizzazione sociale, la relazione con lo Stato e la libertà politica. Resistendo alla tentazione di diagnosticare una sclerosi istituzionale, l’obiettivo principale di questa call è di decostruire il postulato secondo il quale le esigenze economiche, sociali, politiche terrebbero sempre le istituzioni in ostaggio. Liberate da queste forme arborescenti, le istituzioni potrebbero lasciare che questo doppio processo di istituzione e di destituzione si esprima, sciogliendo il fitto nodo del potere stabilito e aprendo la strada a prospettive radicalmente nuove sullo stato delle istituzioni e sulle istituzioni dello Stato.

Grazie a Quentin Badaire e a Alexander Campolo per la loro preziosa rilettura.

 

TIMELINE:

 

Si prega di inviare gli articoli (20.000-50.000 caratteri, spazi inclusi), compresi di abstract in lingua inglese, all’indirizzo redazione@ladeleuziana.org entro e non oltre il 1 settembre 2021.

Si prega di attenersi alle norme editoriali disponibili sul sito di La Deleuziana sotto la rubrica “call for paper”, o al link http://www.ladeleuziana.org/rules-of-publication-and-policy-of-evaluation/ dove sono egualmente disponibili le modalità di valutazione secondo il principio di peer review.

Si accettano contribuiti nelle seguenti lingue: Inglese, Francese, Spagnolo, Italiano, Portoghese.

 

Bibliografia citata:

Agamben, G., Nancy, J. L., Esposito, R., & al., e. (2020, March). Coronavirus and Philosophers. European Journal of Psychoanalysis: http://www.journal-psychoanalysis.eu/coronavirus-and-philosophers/ 

Balibar, E. (2020, July 15, July 16, July 17). Ce que devient le politique – mi-temps de crise 1/3, Entre l’État et le Commun : le service public – mi-temps de crise 2/3, Mi-temps de la crise : expériences, questions, anticipations 3/3. AOC: https://aoc.media/opinion/2020/07/14/ce-que-devient-le-politique-mi-temps-de-la-crise-1-3/

Bey, H. (1991). T. A. Z.: The Temporary Autonomous Zone, Ontological Anarchy, Poetic Terrorism. New York: Autonomedia.

Butler, J. (2020, March 30). Capitalism has its limits. Verso Blog: https://www.versobooks.com/blogs/4603-capitalism-has-its-limits

Brown, W. (2010). Walled States, Waning Sovereignty. New York: Zone.

Comité Invisible. (2017). Maintenant. La Fabrique: Paris.

Easterling, K. (2014). Extrastatecraft: The Power of Infrastructure Space. London: Verso.

Freire, P. (1970). Pedagogy of the Oppressed. Translated by Myra Bergman Ramos. New York: Herder and Herder.

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Graeber, D. (2004). Fragments of an anarchist anthropology. Chicago: Prickly Paradigm.

Hardt, M., & Negri, A.(2001). Empire. Cambridge: Harvard University Press.

Harney, S., & Moten, F. (2013). The Undercommons: Fugitive Planning and Black Study. New York: Autonomedia.

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Lordon, F. (2019). Vivre sans? Institutions, police, travail, argent… Paris: La Fabrique.

Mezzadra, S., & Neilson, B. (2013). Border as Method, or, the Multiplication of Labor. Durham: Duke University Press.

Mbembe, A. (2003). Necropolitics. Public Culture 15.1: 11–40.

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Ohmae, K. (1990). The Borderless World: Power and Strategy in the Interlinked Economy. New York: HarperBusiness.

Ohmae, K. (1995). The End of the Nation State: The Rise of Regional Economies. New York: Free Press.

Ong, A. (2006). Neoliberalism as exception: Mutations in citizenship and sovereignty. Durham: Duke University Press.

Zaoui, P. (2013). La Discrétion. Ou l’art de disparaître. Paris: Autrement. 

Zizek, S. (2020). Pandemic! New York: OR Books.