E. de Conciliis, Il potere della comparazione. Un gioco sociologico

Per quanto in questi ultimi anni si senta sempre più parlare di Italian Theory, non è facile trovare, tra le nuove uscite, libri italiani che propongano prospettive teoriche davvero filosoficamente coraggiose e filologicamente pertinenti – a maggior ragione se i filosofi convocati nel processo della scrittura sono i francesi del ‘900, da Foucault a Simondon, da Deleuze a Bourdieu, solo per fare qualche nome. Ancora più difficile è sfornare proposte per la stessa filosofia contemporanea utilizzando Nietzsche come portavoce. Eppure, Il potere della comparazione. Un gioco sociologico, di Eleonora de Conciliis, pare avere tutte le carte in regola per (ri)animare gli studiosi italiani e spronarli a inventare nuove piste di ricerca o addirittura nuove prospettive filosofiche, magari proprio a partire da Nietzsche. Partiamo allora precisamente dal filosofo di Röcken, anche se così dobbiamo partire dalla fine.

Il proposito infra-filosofico del libro, al tempo stesso interno ed esterno alla storia della filosofia, viene infatti esplicitato nel capitolo conclusivo, “Nietzsche reloaded”, per cui l’autrice intende «ricaricare» Nietzsche, ossia riattivarlo e, prima di rimetterlo in azione, rivederlo, come si rivede un film, per riscriverlo: «per riuscire a vedere “Nietzsche” all’inizio del ventunesimo secolo bisogna insomma disinvoltamente riscriverlo, oltre che praticarlo come si fa con una perversione; […] non ci si può mettere temerariamente al posto di Nietzsche, ma solo provare a far funzionare il suo pensiero in un altro posto, al di là della sua epoca» (200). L’energia per ricaricare Nietzsche viene dalla comparazione, una prospettiva genuinamente polemica, e da ciò che è in suo potere, ossia niente meno che l’innesco del pensiero.
De Conciliis parte da una considerazione molto generale: la comparazione è quell’operazione mentale che compiamo in ogni situazione della nostra vita, dalla spesa al supermercato alla scelta delle amicizie, dal camminare per una città al navigare su internet, e così via. Gioco sociologico per eccellenza, «la comparazione è ciò che innesca, genera e complica all’infinito la socialità umana. Sottrarsi alla comparazione è impossibile» (10). L’operazione generale di de Conciliis è allora quella di «contaminare la filosofia con la sociologia fino a produrre una sociologia filosofica» (15), alternativa innanzitutto all’antropologia filosofica, la cui domanda essenziale, “che cos’è l’uomo?”, è totalmente interna al nucleo ontologico della tradizione metafisica. A tal proposito, come diviene chiaro lungo la lettura del libro, l’intenzione è quella di proporre una teoria della realtà sociale, da intendersi come insieme dinamico di differenze, priva di qualsiasi dimensione ontologica: «Non ci sono né fatti né rappresentazioni o interpretazioni di questi fatti, ma infinite condotte sociali […] grazie a cui gli individui generano il mondo ambiente (Umwelt): rappresentando i fatti ad altri, li definiscono tali e così li significano, danno loro un senso» (17). Ecco la prospettiva nietzscheana che anima l’intero libro, che può esser così telegrafata: «L’uomo è un animale che confronta […] il processo di ominazione non è che un processo di comparazione, un differenziarsi-assomigliarsi sulla scena proto-sociale della pluralità» (19). La comparazione è perciò un pensiero esclusivamente orizzontale e oscillatorio che costruisce l’umano negando radicalmente ogni trascendenza o verticalità metafisiche (20), Essere compreso.
De Conciliis definisce il senso filosofico della comparazione partendo dal doppio significato del verbo latino comparare che, per un verso, rinvia al ‘mettere alla pari’, nel senso di appaiare, eguagliare, assimilare, alla ricerca di una misura comune; è poi proprio tramite questa “misura comune”, che comparare acquisisce il significato di ‘porre di fronte’, ‘contrapporre’ e ‘confrontare’. Questo secondo significato è senza dubbio il perno su cui poggia tutta la prospettiva sociologica del libro, poiché è dal confronto che si producono le differenze e che dunque ci si differenzia, occupando la nicchia cognitiva specificamente umana e proseguendo la differenziazione nella sfera intraspecifica. Comparare come confrontare è in tal senso un processo filo- e ontogenetico di continua soggettivazione. Ma la riflessione etimologica dell’autrice non si esaurisce qui: de Conciliis esibisce infatti il rapporto strategico tra il verbo latino comparāre e «un altro verbo filosoficamente interessante», vale a dire comparēre, che significa “comparire”, “mostrarsi”, “diventare visibile”, ma anche “esistere”. Da ciò consegue che la comparazione può esercitarsi a partire dalla comparsa degli elementi sui quali dirigere l’attenzione: «Affinché la comparazione si inneschi […] è necessario che all’occhio e più in generale ai sensi dell’osservatore, di qualunque osservatore, interno o esterno alla pluralità osservata, si mostri una differenza percepibile – fisica, prima che psichica – tra due o più termini».
Questo è in sostanza l’incipit del libro, la cui prima parte, Le tracce del confronto, ripercorre velocemente e in diagonale la storia del pensiero occidentale, dai Greci ai Moderni (Kant e Condillac in particolare). L’incipit del pensiero, invece, può essere sintetizzato così: tutto incomincia dalla differenza reale, dunque fisica, corporea, percepibile dai sensi e pre-logica, da cui si sviluppano i diversi livelli della comparazione. De Conciliis ordina tali livelli comparativi distinguendo tre dimensioni: quella filosofica, che riguarda i puri oggetti del pensiero; quella scientifica, rivolta ai fenomeni naturali, confrontati secondo leggi causali; infine quella più diffusa, la comparazione sociale, da cui in realtà possono avere luogo le prime due (che dunque risultano prime solo in teoria) e che riguarda tutti gli individui, i quali la esercitano continuamente nei confronti degli altri, «valutandoli a partire da una prospettiva psicofisica impura, anarchica e parziale – la propria, che però si costituisce solo in tale attività – e misurandoli come termini di paragone» (25-26). In questo senso, per de Conciliis la comparazione sociale costituisce lo sfondo rimosso della filosofia e della scienza. Empirismo radicale o eretico, quello di de Conciliis, pur centrato sull’aspetto differenziale, è sicuramente polemico verso ogni prospettiva che veda l’Essere dietro alla Differenza, e l’autrice non fa sconti né a Deleuze né a Simondon: «non c’è alcun Essere, ma solo processi comparativi di individuazione» (33).
Entrando nel vivo del libro, de Conciliis ci fa scoprire la ricca potenzialità semantica della comparazione a partire dalla definizione della filosofia greca come elaborazione artificiale delle differenze reali, vale a dire come attività comparativa: «Tutti i procedimenti logico-astrattivi elaborati dai Greci sono comparativi, ovvero connessi all’attività superiore del confronto come costruzione eidetica: come visione sovrana delle somiglianze e delle differenze. In fondo, questa visione non è altro che la metafisica […] la dialettica come paragone tra concetti ed eliminazione di quelli incompatibili perché assolutamente diversi […]. è attraverso la giusta misura che l’uomo può connettersi all’eidos superiore, all’idea, e così dominare le differenze – governare la comparazione» (41-42). Il pensiero greco, che in-formerà l’intera filosofia occidentale, consiste dunque «nell’attività del χςίνειν, del giudicare, del distinguere, del separare gli enti secondo la loro similarità o diversità, fin dove è possibile» (46). La sostanza è invece per sua natura inseparabile e, dunque, è ciò che resiste alla distinzione e su cui poggia l’artificializzazione delle differenze come condizione di possibilità della stessa attività comparativa.
Oltre al chorismos e all‘ousia, dunque alla separazione e alla sostanza come figure limite della comparazione, de Conciliis rintraccia nella lingua greca tre sostantivi verbali che corrispondono alla comparatio latina e descrivono perciò i contorni dell’attività comparativa. Il primo verbo è parabolein, ossia collocare gli enti uno accanto all’altro per operarne un paragone, un confronto, come quello istituito da Socrate nel Filebo tra i piaceri e i dolori. Se, per de Conciliis, il metodo dialettico all’opera nel Filebo rappresenta il potere filosofico della comparazione, è lecito affermare, come a suo tempo fece Deleuze, che la dialettica sia un modo per imbrigliare la differenza, per renderla cioè misurabile letteralmente presentandola come oggetto della comparazione. Non solo, ma la deontologia filosofica vuole che la stessa attività comparativa debba sottostare al metodo dialettico, quello per cui la molteplicità delle differenze reali viene ridotta all’Uno, ossia al Bene da raggiungere superando la confusione degli impulsi. In tal senso, possiamo sostenere che non sono solo le differenze ad essere reali e, quindi, selvagge, ma la stessa comparazione, nella sua prima natura, è selvaggia e la dialettica è quella particolare forma di misurazione che permette di «regolare l’attività comparativa trasformandola in una sorgente di equilibrio psichico» (54).
Il secondo vocabolo greco in grado di mostrare il senso indisgiungibilmente teoretico e sociologico della comparazione è eikasia, che concerne il tema della somiglianza (έοιχα significa “sono simile”) sostantiva il verbo ειχαζω (rappresentare per immagine, congetturare) e può essere tradotto con rappresentazione, figura o ritratto; seguendo de Conciliis, eikasia indica il «lavoro della comparazione sulla percezione sensibile, la visione mentale di ciò che appare» (59). Tale lavoro, centrale nella dimensione letteraria, è in sostanza quello relativo alla congettura di una somiglianza o di una differenza tra il percepito dai sensi e ciò che a partire da esso si può immaginare: «producendo similitudini, la differenza artificiale ‘lavora’ la differenza reale, fino alla poesia» (60).
Il terzo termine greco da cui prende le mosse il potere della comparazione è per de Conciliis ζήλωις, che significa in origine “emulazione” e “imitazione” e che è connesso al verbo ζήλόω, ossia “contendersi” e “disputarsi”. È con la zelosis che si raggiunge così «la profonda struttura sociale del processo comparativo» (60), poiché ζήλόω rinvia a significati che concernono essenzialmente l’umano, «considerato il comparabile per eccellenza», e determina le varianti psicosociali della comparazione, le quali ci dicono che «non esiste una relazione a-differenziale tra ‘attori’ umani» (61). In tal senso, de Conciliis può mostrare che il potere politico è il potere della comparazione, in quanto al tempo stesso «criterio di misura della differenza altrui e misurato dall’altrui emulazione (in virtù dell’esemplarità delle leggi) o dell’altrui biasimo» (ibidem).
Venendo ai moderni, de Conciliis mostra come anche Kant, nell’Antropologia pragmatica, metta al centro del discorso sull’uomo la comparazione, precisamente come strumento di umanizzazione. L’uomo è infatti concepito non in quanto ente naturale, né tanto meno come “compiuto”, bensì «in rapporto a ciò che di lui si può fare» (81) mediante il confronto con altri individui. In sostanza, l’uomo è in grado di uscire dall’immediatezza naturale, dove regna la differenziazione biologica, poiché è l’unico vivente in grado di rappresentare a sé e agli altri il proprio io: «ciò dipende dal fatto che è in grado di com-parare, cioè ‘lavorare’ gli impulsi» (82) e trasformare perciò le differenze reali in differenze artificiali, costruendo così, al tempo stesso, la propria identità, quella altrui e la stessa società, per diventare uomo al di là della natura: «con la comparazione l’uomo esce dalla natura per non farvi più ritorno» (94).
La seconda parte del volume (Fare persone con le parole) rintraccia l’attività comparativa all’interno dei sistemi linguistici, ricordando come lo stesso Benveniste, nel Vocabolario delle istituzioni indoeuropee (1969), abbia al tempo stesso esplicitato la volontà di elaborare un metodo comparativo-relazionale delle lingue e riconosciuto la civiltà europea come luogo di nascita della comparazione sociologica. Se il senso della prima parte del libro potrebbe essere sintetizzato nel concepire il pensiero, anche quello più teoretico, come un atto di comparazione, quello della seconda parte risiede allora nel fatto che «la lingua è in primo luogo una trasformazione sociale, una lavorazione delle differenze reali» (121). Nella logica comparativa, infatti, se non si dà pensiero senza una differenza reale di partenza, è comunque il linguaggio a rendere possibile la differenza artificiale, ossia a trasformare la sensazione in pensiero: «la comparazione linguistica istituisce insomma il significante come segno artificiale della differenza reale» (119), dunque elabora quest’ultima a partire da una percezione di carattere fisico, assolutamente empirica e, perciò, infra-linguistica. In tal senso, la comparazione è prima di tutto «’pensiero’ dei corpi» (120).
Riprendendo l’affermazione radicale di Pierre Bourdieu, secondo cui «le funzioni sociali sono finzioni sociali», de Conciliis descrive tali finzioni come il risultato in continuo divenire del confronto tra gli individui, i quali «non sono più di, o altro da le loro relazioni» (157). Il gioco del confronto è con Bourdieu «l’unica ragion d’essere degli uomini […], l’ultimo orizzonte anti-ontologico e anti-metafisico dei loro rapporti» (ibidem) al punto che diviene praticamente impossibile, in quest’ottica, affermare l’esistenza della realtà in sé – ecco la potenza della finzione sociale – che deve invece essere pensata come una «simulazione collettiva, una costruzione simbolica a sua volta prodotta dall’attività comparativa» (158). Quel che vale sul piano teoretico, in chiave anti-ontologica, si verifica dunque anche sul piano sociale: «Non c’è niente al di sotto o al di sopra della comparazione psico-linguistica tra gli individui: è questa a creare il mondo sociale comune, la struttura della langue, non viceversa» (160).
Sempre seguendo Bordieu – che a ben vedere diviene il più importante punto di riferimento dell’autrice, la quale corre il rischio di idealizzarlo forse un po’ troppo –, l’intero sistema dei parlanti che dà luogo alla langue è strutturato da comparazioni asimmetriche che lavorano le differenze reali e avvengono attraverso atti di parole. Detto altrimenti, e in chiave sociologica, se nella società occidentale moderna le modificazioni storiche della lingua sono dettate da fenomeni di distinzione imitativa o settaria, questi esprimono tendenze identitarie in grado di differenziare continuamente il campo sociale tra “superiori” e “inferiori”.
In tal senso, ancora una volta Nietzsche è dietro l’angolo, anch’esso forse un po’ idealizzato, ma non senza ragione, dal momento che la prospettiva filosofica proposta dall’autrice ha, tra i vari pregi, quello di rielaborare la costellazione concettuale contemporanea abbattendo il muro dell’Essere a colpi di martello – basti pensare alla proposta di concepire il processo d’individuazione simondoniano senza il pre-individuale. In definitiva, allora, si può affermare che il potere della comparazione sia letteralmente un potere al di là – ma al tempo stesso al di qua – del bene e del male. È al di là perché l’esito dell’atto comparativo è imprevedibile oltre che strettamente nietzscheano, ma è anche al di qua, poiché le condizioni di tale atto sono già da sempre situate sociologicamente, dal momento che riguardano la percezione delle differenze reali nel mondo sociale. Da qui, allora, a chi ha letto il libro e si è affezionato alle avventure della comparazione nel corso della storia, può sorgere il dubbio inquietante circa le attuali condizioni di salute dell’attività comparativa, in un mondo dominato da poteri economici e politici che mirano al monopolio dell’artificializzazione delle differenze, lasciando ai singoli l’illusoria libertà di comparare a valle quel che è già stato selezionato a monte – che si tratti di merci, di uomini, di discorsi o di idee.

 

Eleonora de Conciliis, Il potere della comparazione. Un gioco sociologico, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 220, 18 euro

Paolo Vignola

 

 

 

 

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