..(J).. Endemia

Note a margine di Angela Balzano, Eva virale. La vita oltre i confini di genere, specie e nazione, Meltemi, Milano 2024

di Emilia Marra

Eva si dice virale in molti modi. Per scriverne, occorre fare un passo indietro, non già per non farsi contagiare, ma per apprezzare, prima ancora che gli effetti, i molteplici modi del contagio. Primo tra questi, il modo dell’incontro gioioso, della simpoiesi, che non si limita alla mente, ma che coinvolge il corpo del lettore. Già nell’esergo che inaugura i diversi capitoli infatti Angela Balzano convoca a sé l’orizzonte esperienziale dell’affettività, dell’immaginazione e del ricordo, appellandosi il più delle volte a strofe e ritornelli. Margherita Vicario canta al mare e lo Stretto necessario di Levante e Consoli diventa un concetto filosofico. Canticchiando sottovoce, chi legge prosegue oltre la linearità della scrittura, accogliendo le immagini, foto e disegni, insieme al coro disomogeneo di citazioni che costella, orientandolo, il testo. Il modo della viralità di Eva è allora quello in cui, di una canzone o di un meme, si dice che è o che è diventato virale: una trasmissione rapida, che trova il proprio terreno d’espressione lungo l’orizzonte affettivo. Se ci si chiede poi chi o cosa si incontra nell’incontro gioioso, la prima risposta di Balzano, che è anche una indicazione metodologica, potrebbe essere parafrasata così: niente di alieno. All’estremofilia di chi vede in Marte l’altrove dal quale ripartire, il sottotitolo dell’introduzione risponde con l’esigenza di prendere le mosse dalla prossimità, forse proprio da ciò che ci è più prossimo e insieme più sconosciuto: il nostro corpo, e quello che immediatamente lo circonda. Ecco il secondo dei modi in cui Eva virale contagia: il contagio si dà nella prossimità. La passeggiata lungo la quale ci guida Balzano per la sua Milazzo riesce efficacemente a convincere chi legge che la prima prossimità sia quella con il territorio: coste invase da turisti, tumori che proliferano nei nostri corpi e in quelli dei nostri cari, plastiche nel ventre di pesci e mammiferi marini, uffici eccessivamente refrigerati, abusivismo edilizio, non possono non essere urgenze per il pensiero contemporaneo. Innanzitutto perché, sottolinea Balzano, il nostro intorno circoscrive e orienta i nostri desideri. Eva si ribella al nomos del capitale, trasgredisce alla sua legge per metterne in discussione la logica binaria, dialettica e mortifera. La scommessa che il volume propone è quella di una filosofia del limite, dove il limite non è qui pensato come segnaposto della distanza tra un io e un tu, tra animale e vegetale, tra umano e non umano, bensì come terreno di negoziazione contro le astrattezze di certa filosofia e delle tecnoscienze. Non un contagio pandemico quindi, quello di Eva, ma un contagio endemico, che riporta lo sguardo al più prossimo, immergendosi nel quale e con il quale è possibile far risuonare quell’omonimia tra penser e panser, coincidenza tra pensiero e cura, che Stiegler non ha mancato di sottolineare. In veste di genealogista della simbiosi, Balzano prende a braccetto la lobularia maritima e il capidoglio Siso, intrecciando la loro lotta con la plastica alla voce, programmaticamente silenziata all’interno della storia del pensiero, di Beatrix Potter, Lynn Margulis e Lise Meitner. Da questo insieme apparentemente disomogeneo sorge la potenza del compost, elogio sui generis della generazione, intesa come rigenerazione, che Balzano sviluppa a partire dalla commistione tra eco-cyborg-femminismo ed Etica spinoziana. Eva contagia quindi anche per sedimentazione, per stratificazione sul fondo del mare, dove persino la linea di demarcazione tra la vita e la morte si affievolisce. Non si tratta, spiega bene Balzano, di un elogio dell’immortalità, obiettivo al quale l’automercificazione del sé sembra mirare e che trova il proprio correlato oggettivo nella progressiva cementificazione del nostro ambiente associato, ma della possibilità di pensare una concettualità non dualista per una co-evoluzione sostenibile. Eva è virale nel modo in cui, per Ruha Benjamin, occorre che la giustizia sia virale, ossia capace di oltrepassare la barriera astratta del biologismo determinista per agire sul piano della responsabilità e della cura multispecie e transpecie. Solo in questo attraversamento o contaminazione è possibile pensare percorsi di rigenerazione, altra parola per dire l’etica del compost che qui Balzano propone.

Del modo in cui Eva contagia, occorre poi dire che contagia immediatamente, senza tempo di incubazione: si tratta infatti di un contagio al presente in cui passato e futuro si ritrovano in un tempo circolare dal sapore nietzschiano, in cui la desiderabilità del ritorno è misura di selezione non sul piano normativo della morale, ma su quello esperienziale dei corpi, in cui non c’è spazio per la “nostalgia di tempi che non abbiamo mai vissuto”, bensì “desiderio di un presente in cui chi e ciò che resta possa durare, nel senso spinoziano di r/esistere” (158-159). Per questo, il presente non si configura in Balzano nell’astrattezza dell’istante, terreno predatorio del capitalismo, ma prende la forma dell’immersione, del ritorno all’acqua come momento curativo della disalienazione del sé. Virale dice poi di un modo dell’intelligenza ambientale dal quale i sapiens hanno ancora molto da imparare, di un autocontrollo che le diatomee suggeriscono essere più vantaggioso rispetto al modello della crescita infinita, un meno uno o un rallentamento nella quantità o nelle proporzioni che permette prosperità nel rispetto dell’ecosistema altrui. Il tema della rigenerazione ambientale non può quindi essere condotto in assenza di una riflessione sulle opportunità generative, sul privilegio della generazione accordato ad alcuni, sull’addebitamento dei suoi costi ad altri, sull’eterodeterminazione dei tempi di vita, su un modello sostenibile di genitorialità che presta ascolto all’Haraway promotrice del kin. Eva si dice virale anche perché coinvolge tutti gli aspetti del corpo, non limitandosi a una sola tra le sue funzioni biologiche. Per questo Balzano specifica che non c’è riproduzione senza alimentazione, non c’è ventre gravido senza uno stomaco pieno. Il concatenamento sapiens-animale-pianta deve allora essere pensato non solo sul piano, talvolta anch’esso troppo astratto, dell’ecosistema condiviso, ma anche della relazione alimentare che ne lega gli elementi, e la cui analisi coinvolge i prodotti che si affacciano dagli scaffali dei supermercati, gli allevamenti intensivi, la malnutrizione e la denutrizione, l’intera filiera alimentare, la manodopera sottopagata, la differenza di genere nel lavoro di cura, la distanza tra contadini e imprenditori. Eva virale è dunque, in ultima istanza, un punto di vista sul mondo. Grado zero della vita, precede, oltrepassandola, la distinzione tra animale e vegetale. Capace di modificare il funzionamento delle cellule eucariotiche, Eva virale è generativa e rigenerativa insieme, è già deviazione, alternativa, sconfinamento, via di fuga, sapere subalterno. È, secondo una potente espressione che compare in italico nel testo di Balzano, “l’inizio della fine come trasformazione” (p. 149). Nella contaminazione che abbraccia l’esergo del capitolo, tratto da Viaggiatore degli Assalti Frontali, il senso della fine si fa inizio, il ritornello si ripete, trasformandosi e orientando l’agire. Non si tratta però di individuare furbescamente una soluzione, o ancora, di fare del ritornello una canzone da organetto: pregio del volume è quello di non indicare nel consumo di batteri al posto di carni e vegetali o nei bioindumenti la via attraverso la quale sanare la cute del mondo lesa dal sistema tecnoscientifico del capitalismo. Fare del compost la misura dell’agire significa pensare la finitezza come occasione, come relazione. Eva virale si dice allora in molti sensi, e ancora, come nella Fisica di Aristotele, per difendere l’esistenza della natura e del movimento, ma per una multivocità la cui posta in gioco si sposta dal piano metafisico a quello, materiale, delle pratiche.


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