Su S. Zanelli, Con-fini. Deleuze, Simondon e il problema dell’individuazione, Castelvecchi, Roma 2023
di Francesca Sunseri
Una sera di giugno un caro amico ingegnere cibernetico, tra una birra e qualche risata, ha rimproverato noi filosofi del fatto che continuiamo da secoli a cercare un’origine stabile e unitaria costringendoci a guardare una realtà che non esiste quando la maggior parte dei funzionamenti tecno-scientifici dimostrano che l’origine di ogni cosa risiede in una relazione. Davanti a una psicoterapeuta gestaltista incredula cominciava così una lunga chiacchierata sul funzionamento delle ali di un elicottero e sulla teoria dell’individuazione di Simondon. Una scena decisamente surreale che però poneva le solide fondamenta per aprire il libro di Silvia Zanelli con spirito esplorativo.
Qualche giorno dopo, sotto il sole di un’estate afosa, il libro di Silvia Zanelli risultò, infatti, una brezza fresca che faceva sperare in un futuro migliore. Se non altro per l’ipotesi, presente nell’Introduzione di Con-fini. Deleuze, Simondon e il problema dell’individuazione (Castelvecchi, Roma 2023), del mondo-senza-di-noi in cui l’umano è soltanto uno dei contraccolpi del Fuori energetico preindividuale e il cui sguardo è già sempre secondario e parziale rispetto a una virtualità immanente (pp. 12-13).
Il libro di Zanelli attrae in primo luogo per la scelta coraggiosa di mettere nel titolo due nomi che spesso fanno storcere il naso, soprattutto e si cerca di tenerli insieme. Difatti del rapporto tra Deleuze e Simondon si è molto dibattuto e il testo di Anne Sauvagnargues del 2015 (Artmachines: Deleuze, Guattari, Simondon) è forse il lavoro maggiormente riuscito. È però stata più volte riaperta la questione soprattutto per la mancanza di riferimenti diretti a Simondon da parte di Deleuze, la cui filosofia deve decisamente molto all’incontro fortuito con lo studioso degli oggetti tecnici. Nell’Introduzione, Zanelli promette di non ricalcare le medesime tracce lasciate da chi aveva già analizzato questa relazione, ma, con grande rispetto per i due protagonisti, cerca tra loro un terreno di alleanza secondo la logica della différence, del negativo mai dialettico. Il punto nevralgico del testo è la relazione come congegno esplosivo che annienta ogni tipo di opposizione per negazione (la contraddizione e non l’op-ponere che lo stesso Deleuze recupera) e apre al dinamismo delle operazioni di differenziazione e diffrazione. D’altronde, come Zanelli sottolinea, il tema della potenza della differenziazione è molto caro a Deleuze (tramite Gabriel Tarde), ma anche allo stesso Simondon che fa della trasduzione, della disparazione e della metastabilità i concetti chiave della sua ontogenesi dell’essere. L’intero primo capitolo “Esistere e differire” è dedicato proprio al tracciamento di questa risemantizzazione del concetto di differenza che passa attraverso il ripensamento ontologico simondoniano per concentrarsi sull’anti-hegelismo deleuziano. I concetti di gradiente e di differenza intensiva sono snodi essenziali che mettono in contatto Deleuze e Simondon in un’ottica di una différence tra gli enti che non fa riferimento a essenze, ma a gradi di intensità di capacità di agire. La différence in Deleuze e la disparation in Simondon sono il ponte necessario per poter cambiare la postura filosofica e superare la ricerca di un fondamento sostanziale dell’essere.
Differenza intensiva ed energetica differenziale sono le due locuzioni che in Deleuze e Simondon delineano uno stato iniziale mai sostanziale, ma tensivo e poliforme. Tutto ha inizio da una condizione oggettivamente problematica che si perpetua nel corso dell’ontogenesi dell’essere e che non ha nulla a che fare con la dialettica oppositiva hegeliana. La tensione energetica oggettivamente problematica presente sia in Simondon che, poi, con le dovute differenze, in Deleuze, è un conflitto non oppositivo, ma produttivo le cui parti non sono precedentemente determinate. L’essere, dunque, non è opposto al divenire. La loro è una coesistenza nella disparazione, nel problematico non oppositivo dato dall’operazione di sfasamento che l’essere compie ogni volta che cerca di trovare una soluzione alla tensione energetica oggettivamente problematica individuandosi. Zanelli nota bene, mettendo in relazione i due autori, che il processo ontogenetico dell’individuazione non è una sintesi hegeliana in cui ogni fase (fisica, vivente, psico-sociale) raccoglie quelle precedenti elevandosi, ma una sintesi disgiuntiva (p. 37). È proprio sull’anti-hegelismo deleuziano-simondoniano che Zanelli concentra il suo sguardo poiché ritiene che «differire senza dare spazio all’opposto e al negativo» (p. 39) è lo smacco determinante delle due tesi relazionali presentate. Tanto in Simondon quanto in Deleuze soggetto e oggetto sono termini estremi, increspature che si innervano in una relazione primigenia. Eppure tra Simondon e Deleuze sembra restare insoluta la questione del monismo e Zanelli sostiene che la sfida da dover portare avanti è quella di non rinunciare al monismo pluralista deleuziano (come forse avrebbe preferito Simondon che prende le distanze da ogni monismo unitario) e, al medesimo tempo, tenere in gioco la processualità più che unitaria simondoniana. In questa direzione l’autrice propone una lettura di Simondon che lo oltrepassi tramite Deleuze: un allontanamento, dunque, dal monismo, ma non dall’immanentismo.
Rimanendo in una lettura parallela, non oppositiva e nemmeno mimetica, delle tesi simondoniane e di quelle deleuziane, nel cuore del libro di Silvia Zanelli in cui è trattato il tema dell’individuazione emerge un anti-dualismo e anti-strutturalismo che va oltre una semplice destrutturazione e apre a quello che Deleuze chiama panmetallismo (p. 66). Un richiamo, quindi, non semplicemente a un materialismo, ma a uno sguardo operazionale del reale mutuato dalla metallurgia, tecnica di formazione della materia per eccellenza. Quello artigianale è un mondo cui non soltanto Deleuze fa riferimento, ma che apre, con l’esempio del mattone, la critica all’ilemorfismo aristotelico nella tesi simondoniana sull’individuazione.
Una partita a tennis che sembra infinita quella tra Simondon e Deleuze in cui ogni set vinto apre a nuove connessioni disparate. Sembra però che Simondon abbia battuto Deleuze per quanto riguarda il processo ontogenetico e la relazione sempre presente con il preindividuale. In parte (più volte Zanelli lo sottolinea) forse Deleuze dava per assodato il lavoro fatto da Simondon; dall’altra parte c’è l’impersonale deleuziano che scalpita per potersi liberare totalmente dal soggetto. Zanelli trova in Simondon una terza via tra il totale impersonale e la completa soggettivazione che consente al filosofo francese di proporre un umanesimo senza uomo. L’umano è, infatti, nella teoria dell’individuazione di Simondon soltanto una delle possibili risposte all’oggettivamente problematico che spinge dal sottosopra preindividuale. Umano non è l’uomo, ma qualsiasi ente risponda al preindividuale individuandosi secondo configurazioni umane. L’annosa questione animale viene, dunque, liberata dal tentativo di attribuire agli animali caratteristiche umane per dar loro diritto di esistenza. Ogni animale potenzialmente può prendere configurazioni umane e ogni umano può prendere configurazioni animali a seconda dei dis-adattamenti e ri-adattamenti a cui si è sottoposti dai flussi energetici del preindividuale.
Se in Deleuze si ha un’implosione dell’Io e della soggettività a favore dell’impersonale in cui ognuno si deterritorializza per divenire-ognuno e avvicinarsi all’immanenza assoluta, in Simondon la tematizzazione dell’individuazione psichica e del transindividuale apre all’idea di un riferimento al preindividuale senza totale depersonalizzazione. L’Altro è, simondonianamente, il milieu che consente all’Io di entrare nel collettivo transindividuandosi mantenendo da una parte la connessione con la sua specifica configurazione e, dall’altra, quella con il preindividuale. Come rileva precisamente Zanelli, in Simondon, quindi, il soggetto rientra in campo proprio nell’intreccio tra preindividuale, individuale e collettivo e risulta, come tutto l’essere, scisso e disparato. È in questo frangente che si innesta il tema dell’angoscia quale condizione necessaria da cui passare per entrare nel collettivo. Il soggetto disperato e disparato inizialmente non riesce a trovare una soluzione alla sensazione di eccedere se stesso e cade nell’angoscia che risulta solipsista soltanto se il soggetto non riesce ad approdare nel collettivo. In alternativa, l’angoscia è «una solitudine paradossale, in quanto ricca di relazioni» (p. 107) che porta l’individuo sulla soglia di se stesso smascherando la persona dai suoi rapporti interindividuali che occultano il transindividuale.
Nel terzo e ultimo capitolo Zanelli avanza un’analisi della dinamogenesi dell’affettività presente nei due filosofi con le dovute differenze che trovo innovativa. D’altronde, l’attenzione di Deleuze per lo spettro affettivo-desiderante è ampiamente riconosciuta, mentre quella di Simondon è stata per lungo tempo considerata come accessoria. Chi si occupa di Simondon è consapevole che gli studi sulla sua teoria dell’affettività, come sull’enorme lavoro sul ripensamento dello psichico, sono pochi e frammentati. Zanelli offre la possibilità di cominciare a intravedere tra le intense pagine simondoniane una riqualificazione dell’affettività che però non scade nel sentimentalismo. La prospettiva deleuziana sull’affettività è fortemente influenzata dall’incontro con Spinoza che, invece, Simondon critica in diverse occasioni. Dal lato simondoniano la concezione dell’affettività come chiave della transindividuazione sembra richiamare il suo maestro Merleau-Ponty, ma Zanelli la definisce essenzialmente inedita (p. 113). In entrambi i casi, però, si tratta di una concezione degli affetti che non ha nulla da condividere con la prospettiva della affective turn che vuole annullare la razionalità. Infatti in Simondon l’affettività è fortemente legata alle capacità di linguaggio, pensiero e cognizione quali modi di comunicare.
Una grande assente nel libro di Silvia Zanelli rimane la valorizzazione del concetto di informazione che però, almeno nell’accezione simondoniana, risuona in quasi tutte le pagine. È infatti difficile pensare di poter parlare della teoria dell’individuazione di Simondon senza precisare la sua idea di in-formazione, che nulla ha a che vedere con la popolare accezione di “notizia”. Si tratta di un termine chiave che va a sostituire lo statico “forma” per far ripartire lo studio dell’individuazione dalla processualità. Nel libro di Zanelli compare soltanto sul finale nella definizione della vita come bio-semiotica. Per Simondon, sostiene Zanelli, l’informazione, come la comunicazione e l’affettività, non sono caratteristiche umane, ma trans-frontaliere (p. 124). Secondo Zanelli questo consentirebbe di avvicinare la riflessione simondoniana a quella della moderna bio-semiotica. La centralità dell’informazione nel pensiero di Simondon, a mio avviso, supera l’idea di caratteristica non umana poiché è transfrontaliera ma anche preindividuale, ma questa rimane una tematica da approfondire.
L’intero testo di Zanelli si libra sui con-fini tra Simondon e Deleuze, ma anche e soprattutto sulla possibilità di superare il problema della fine e del fine dell’uomo trasformandolo in una questione di soglie, di relazioni e transizioni poiché, mancando l’inizio in senso assoluto come ben delineato da Simondon, non si può che cercare di spiegare il processo stando al suo interno.