Le macchine da guerra dei ritornelli terrestri

Call for Papers

Che si pensi alla diffusione radiofonica del Bolero di Ravel il 3 settembre 1939 attraverso la RNF [Radiodiffusion Nationale Française], per incoraggiare lo spiegamento delle truppe francesi in vista della dichiarazione di guerra alla Germania da parte di Francia e Inghilterra (Criton 1998), o alla maniera in cui, in seguito, Stanley Kubrick ha potuto rendere cinematograficamente percettibili gli usi figurativi perversi e militari della musica inerenti ad ogni politica, resta difficile oggi affermare, come già Gustave Flaubert aveva a suo tempo constatato, che «la musica addolcisce i costumi» (Flaubert 1913). In effetti, e nel suo rapporto con i fatti, quale politica potrebbe dichiararsi esente dal ricorso a leitmotivs o patterns propri di ciascun’epoca, tanto visivi quanto auditivi, come strumento della loro manipolazione? Tutte le difficoltà nell’analisi di tale rapporto risiedono senza dubbio nella capacità di non lasciarsi ingannare dalla sua apparente semplicità. Analizzare la rivendicazione di un rapporto diretto coi fatti corrisponde al liberarsi dalla loro apparente immediatezza, destinata a mobilizzare, grazie al suo incidere sul piano dell’identificazione e dell’adesione a parole d’ordine, coloro ai quali si rivolge. Ma è anche, allo stesso tempo, il tentativo di mettere a distanza, al fine di renderla concettualmente visibile, la propensione di ogni politica a figurarsi, attraverso artifici di mascheramento, i fatti di una data epoca così come storicamente e geograficamente situati. In questa prospettiva, si riconosce a Deleuze e Guattari il merito di aver formato un concetto di ritornello utile ai fini di tale analisi (Deleuze, Guattari; 1980, 1991. Guattari; 1979). Irriducibile ai suoi utilizzi riterritorializzanti, reazionari e antidemocratici (Dantec; 2001. Rancière; 2005), tale concetto, se compreso in profondità, invita a fuggire le idee prestabilite tanto sulla musica, quanto sulla guerra e sulla stessa terra, sia in termini di classe (Lazzarato; 2014), che di razza (Touam Bona; 2016) e di genere (Ronell; 2002).

Per Deleuze e Guattari, ogni relazione occidentale tra un popolo e la terra implica sempre delle macchine da guerra che compongono ritornelli territoriali (Deleuze, Guattari 1980). In questo modo, le diverse forme di realizzazione di tali macchine possono essere una linea direttrice per produrre una nuova cartografia. Tale cartografia corrisponde a numerosi tentativi storico-geografici di territorializzazione della Terra in accordo con determinati universi incorporei di riferimento. Secondo gli autori, questa territorializzazione della Terra implica le deviazioni capitaliste guerriere e costituisce le differenti « età » del mondo occidentale: l’età classica (derivante dal sistema feudale, dalla pace cattolica e dai suoi codici), l’età romantica (come reazione alle rivoluzioni borghesi nella prospettiva di mantenere una pace universale fondata sul diritto naturale illuminista), e quella moderna, che tenta di sfuggire alle deviazioni nazi-fasciste della precedente (l’Uno-Folla). Quest’ultima epoca si estende fino all’organizzazione mass-mediatica e alla modalità di controllo dei popoli caratteristica delle società contemporanee, che fa leva su ciò che è stato da altri chiamato la strategia degli shock (Klein 2007). Si tratterebbe inoltre di una modalità d’organizzazione del potere che contribuisce alla deterritorializzazione forzata dei popoli caratterizzati da universi incorporei di riferimento non occidentali.

Questo numero, come anticipato, intende analizzare le macchine da guerra e i ritornelli territoriali nei loro rapporti con la terra. In quest’ottica, solleva, tra le altre cose, una serie di preoccupazioni. In primo luogo, vorremmo ritornare alla caratterizzazione che Deleuze e Guattari offrono delle differenti età della terra per domandarci, nella speranza di comprendere meglio tali età e la nostra, se esiste un ritornello proprio della modernità e quale potrebbe essere. In secondo luogo, cosa possiamo pensare delle promesse e dei pericoli relativi a una ricostituzione del romanticismo? Non siamo forse in un momento in cui i ritornelli romantici sono reinvestiti per lottare contro le strategie dello choc? In terzo luogo, di fronte al recente emergere di diversi poteri reazionari e autoritari, cosa possiamo affermare rispetto ai ritornelli capitalisti e fascisti del presente? Quale può essere il loro lato inedito e come dovremmo distinguerli dalle loro attualizzazioni precedenti? Infine, ma forse si tratta dell’aspetto più importante, quale prospettiva clinica ci rimane? Come possiamo intensificare il pluralismo e quale speranza possiamo riporre nelle potenzialità intersezionali della trasversalità?

1. Resta ancora una domanda da porre: possiamo ritenerci soddisfatti dell’idea di un’età moderna della terra quando Deleuze e Guattari consideravano di usare il termine «moderno» in «mancanza di un altro nome»? Se l’età moderna della terra è quella «che ritrova i modi», come teorizzato Gisèle Brelet (1963), non sarebbe forse preferibile intenderla come « ciò che non siamo mai stati », o chiamarla « non-modernità », come ha suggerito Bruno Latour (1991)? Se invece corrispondesse al “neo-barocco” (Deleuze 2004), si potrebbe anche trattare di un nuovo romanticismo dialettico, come quello, allegorico, evidenziato da Walter Benjamin (1925) nel suo combattimento contro la modernità entropica…

2. Pensare le strategie di choc implica utilizzare nuovi strumenti concettuali per lottare contro gli inediti stati della stupidità, ossia contro gli stati di choc politici e sociali (Stiegler; 2012). Como evidenziato da Naomi Klein, tali stati di choc, che corrispondono a veri e propri colpi di Stato legati alle volontà delle corporation, stanno alla base di quella desublimazione distruttiva che a sua volta definisce lo choc dell’Antropocene (Bonneuil, Fressoz; 2013). Eppure, alcuni dei diversi modi di trarre nuove prospettive da questo punto – analizzare e proporre strumenti clinici in seno alla stessa macchina del Capitale – possono costituire il segno visibile di un disaccordo con Deleuze e Guattari. Rispetto alla comprensione della nostra relazione macchinica con la terra, dovremmo forse chiederci in quale misura non ci riportino a un rapporto romantico tra terra, popolo e territorio. Nel caso di Klein, si tratta di una questione di difesa degli stili di vita di popoli che sono sacrificati al mercato del carbone: in questo modo, divenire rivoluzionario potrebbe significare supportare le radici e le terre dei modi di sussistenza tradizionali, cominciando da quelle implicate nei diritti indigeni. Per altri, si tratta di sapere se è possibile affrontare la rischiosa scommessa di un aggiornamento del romanticismo, inteso come tentativo di trovare un fuori dal capitalismo (Neyrat 2014a), o persino altri spazi che potrebbero costituire l’espediente attraverso cui sospendere gli usi realisti e identitari dell’immaginazione politica (Neyrat 2014b; 2014c). Non viviamo in effetti un momento in cui l’alleanza per difendere i diritti universali della Madre Terra necessita di una certa reintegrazione del romanticismo anche da parte dei popoli nativi (Xakriabá 2016)? Al giorno d’oggi si potrebbe poi pensare che il nuovo uso di alcuni antichi topoi e ritornelli sia il segno che ancora esistono territori situati al di fuori delle deterritorializzazioni capitaliste.

3. E allora, come possiamo comprendere in modo critico il fatto che esistano anche ritornelli territoriali capitalisti e neo-fascisti? E quali sono davvero le logiche e le strategie soggiacenti a questi ritornelli, sapendo, grazie a Deleuze e Guattari, che non ci basterà affermare che le masse sono state ingannate? Con l’ascesa dei poteri reazionari e totalitari, si può ancora sostenere che la fine apparente del neoliberalismo, inaugurata dalla crisi del 2008 e attivata politicamente nel 2016 attraverso degli atti democratici di protezionismo finanziario, segnali un movimento generalizzato di riterritorializzazione e ricodifica orchestrato dallo Stato sulla Nazione, l’etnicità, la razza, la classe, il sesso e il genere? Quali affinità permangono tra le società dello shock e le società di controllo (Deleuze 1990), ma anche tra le prime e le società d’integrazione (Guattari 1992) o del Capitalismo Mondiale Integrato (Guattari 1989a)? E le società in cui viviamo costituirebbero un nuovo totalitarismo basato sulla logica dello Stato minimo dell’anarco-capitalismo in situazioni di guerra come di pace, il cui caso paradigmatico potrebbe essere il Cile di Pinochet, sia per Deleuze e Guattari che per Klein? Ad esempio, è assodato che esista un legame tra le premesse del LePenismo e l’anarco-capitalismo (Rothbard 1956), ma che si potrebbe dire allora della critica deleuziana del Poujadismo (Deleuze 1973), o dell’anticipazione di Guattari di quello che diventerà l’anti-ecologismo di Trump e Le Pen (Guattari 1989b)? E se esiste qualcosa come un nuovo totalitarismo, sarebbe la stessa cosa di un nuovo fascismo, distinto dal vecchio fascismo (Deleuze 1977)? Come comprendere oggi, allora, l’avvertimento guattariano sulla rivoluzione decoloniale ma reazionaria (Lumumba, Khomeini…), il cui impulso deriva da movimenti trasversali e fondamentalisti (Guattari 1986)? E in che misura lo spazio algoritmico può divenire un amplificatore di tali movimenti reazionari?

4. Infine, come porre una differenza di natura tra le riterritorializzazioni capitaliste patologiche e le difese cliniche, ossia i tentativi di fabbricare ciò che Guattari chiamava “territori esistenziali collettivi” (Guattari 1988)? In che modo questi tentativi stanno cercando di riorientare i territori affinché divengano un luogo di vita per quei popoli deterritorializzati, dotati di universi incorporei di riferimento di tipo non occidentale – dei territori pluriversali? Quali diritti e territori per gli universi incorporei che l’Occidente pretende di definire arcaici, e che sono ridotti ad apolidi o senza terra? E al di là delle potenzialità politiche nascoste negli universi del (pre)romanticismo, che alcuni hanno cercato di estrarre riattivando in modo non occidentale le vecchie macchine da guerra in relazione ai ritornelli terrestri – ad esempio, Michael Hardt (2007b) con Jefferson, Toni Negri (1987) con Leopardi, o Jacques Rancière (1999) con Schiller –, esistono possibilità esterne ai testi scritti da Deleuze e Guattari, non ancora nominate o concettualizzate (Alliez & Lazzarato 2016)? Guattari non faceva appello d’altronde a un’attenzione particolare nei confronti delle potenzialità intersezionali della trasversalità, nel momento in cui questa si considera come una rimessa in questione della lotta di classe nelle sue implicazioni razziali, di genere e ambientali, ossia in modo dissensuale ed eterogeneo, aperto a quel non-senso che solitamente tale lotta rifiuta di implicare (Guattari 1964), e dunque, a un approfondimento del pluralismo sociale (Guattari 1985)?

 

Eventuali Topics:

Shock: Capitalocene, Desublimazione, Entropia, Crescita/Decrescita, Integrazione, Strategie dello shock, Stupidità;

La Terra e il popolo: Arcaismi, Gaia, Territori esistenziali collettivi, Classico, romantico e (non)moderno;

Diritto: Common Law, Diritti ancestrali, Giurisprudenze, Leggi e diritti della Madre Terra, Trasformazioni del diritto (Gabriel Tarde);

Macchine: Macchine estetiche, Ritornello, Primitivismo, Progresso, Reazione, Macchine sociali, Macchine tecniche, Macchine da guerra;

(De)territorializzazione: (Anarco)capitalismo, Consenso/Dissenso, (Neo)fascismo, Fondamentalismo, Intersezionalità, (Neo)liberismo, Poujadismo, (Contro)rivoluzione, Trasversalità, Totalitarismo.

 

Deadlines: Si prega di inviare un Abstract (1,500 caratteri) entro il 30 Maggio 2017. Per il testo completo (20,000-50,000 caratteri, spazi inclusi) la data limite è il 30 Luglio 2017.

Inviare a: ladeleuziana_call@ladeleuziana.org

Si prega di consultare qui le nostre regole di pubblicazione e politiche di valutazione.

 

 

Fonti bibliografiche:

Éric Alliez; Maurizio Lazzarato. 2016. Guerre et capital. Paris: Amsterdam.

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