16 – Anarchivismi latinoamericani: sovvertire l’ordine del vivente

L’esplosione teorica del concetto di archivio passa per un’importante politicizzazione delle sue forme costitutive e dei suoi modi di funzionamento, ma anche, in un senso che risulta cruciale per questo numero, dall’affrontare le tensioni tra l’ordinamento che suppone e le politiche anarchiche che lo destabilizzano. Rispetto a tale movimento critico attorno alle politiche dell’archivio, sono sicuramente decisivi gli apporti di Foucault, già definito da Deleuze “il nuovo archivista”: il suo dislocamento archeologico disgrega le formazioni storiche dei saperi per mettere in questione l’ordinamento politico che opera all’interno dell’archivio, così come il diagramma di forze e relazioni di potere che lo attraversano.

È così che, nell’attualità, la nozione di archivio arriva ad ostentare una dimensione centrale nella filosofia, proponendosi come un campo di problematizzazione per il pensiero contemporaneo nella misura in cui l’ordine che configura nelle tracce registrate della produzione sociale risulta, se seguiamo Foucault, inseparabile da quello che si stabilisce tra gli esseri viventi. In relazione con tale ordinamento politico tra corpus e corpi, Derrida inaugura a sua volta una linea di riflessione che riparte dell’etimologia greca del termine archivio: da arkhé, che si riferisce a un doppio principio tra origine e mandato, ossia tra arkhé e nomos, sul quale si sostiene il potere arcontico (Derrida 1996). Ossia, l’autorità della legge che si impone sui documenti organizzati secondo il potere di consegnazione proprio degli arconti, guardiani dell’archivio ed unici responsabili della sua interpretazione.

Allo stesso tempo, lo spazio teorico aperto da Foucault e Derrida si compone in una mappa con le macchinazioni deleuziane e le singolarità vitali che soggiacciono e dislocano l’archivio: “un divenire di forze che non si confonde con la storia delle forme” (Deleuze 2018). In Deleuze il diagramma di forze si presenta come uno spazio di mutazioni, scontri e rivolte (il virtuale) che provengono dal fuori, attualizzando l’archivio, i suoi regimi audiovisivi e le sue relazioni di potere, ma anche, allo stesso tempo, promuovendo punti di resistenza rispetto all’ordine imposto tra ciò che si può dire e vedere – tra l’enunciabile e il visibile. Per Deleuze, il fuori costituisce sempre un’apertura verso il futuro, e dunque non vi è né un principio né una fine che possa esercitarsi totalitariamente con l’arkhé: “nulla ha inizio, tutto muta” (Deleuze 2018).

Il nostro interesse, per questo numero di La Deleuziana, si concentra dunque nell’indagare le potenzialità anarchiche che destabilizzano e sovvertono l’archivio. In questo senso, risulta cruciale il crescente dibattito critico che proviene dall’America Latina e che si concentra sulle funzioni restrittive dell’archivio, ma anche sulle sue potenzialità anarchiviste – naturalmente, in tensione con l’archival turn di matrice anglosassone con la sua localizzazione geopolitica centralizzata. Ci interessa inoltre analizzare come tale supposta centralità della critica anglosassone è stata messa in questione dallo stesso Nord Globale, grazie al dispiegamento anarchico e politico di pratiche artistiche e riflessioni teoriche che si appropriano delle tecnologie e dei contesti economici contemporanei per costruire nuovi processi di ricerca-creazione. Per queste ragioni, empatizziamo con la proliferazione di quelle forme collaborative e partecipative tra diversi artisti e ricercatori che possano generare alterazioni anarchiviste per le quali l’opera non rappresenta né un’origine né un(a) fine, quanto piuttosto una forma sempre in processo, aperta alla rielaborazione e all’intervento di nuove forze.

All’interno di questa linea di sperimentazione si sommano progetti come quello sviluppato dalla rete internazionale di artisti e ricercatori SenseLab, con sede a Montreal, o quello di The Sphere, i cui lavori e proposte artistiche esplorano le potenze intensive dell’anarchivio, così come la sua condizione ermeneutica ed euristica, per mettere in questione le forme tradizionali della produzione culturale e generare altre possibilità di sperimentare e mettere in relazione le pratiche artistiche e quelle sociali. L’anarchivio, nella sua condizione di apertura e di incompletezza, mette in moto una pratica relazionale e processuale nella quale l’opera artistica si libera dalle categorie tradizionali di proprietà e trascendenza per essere alterata nel futuro, per essere incalzata dal suo fuori, per divenire un bene comune.

In questo modo troviamo punti di affinità e convergenza tra i progetti anarchivisti menzionati e i processi basati su anarchivi di provenienza latinoamericana: ci riferiamo, ad esempio, al lavoro della Red de Conceptualismos del Sur e alle sue riflessioni e pratiche orientate alla ripoliticizzazione dell’archivio, delle sue varianti anarchiviste, anomiche e inappropriabili, per pensare forme del comune nel contesto di violenza e precarietà che caratterizza le crisi contemporanee. Abbiamo presente la sua forza politica, in grado di generare da altri modi di esistenza forme di organizzazione e cooperazione mutua che potenziano le forze anarchiche del vivente di fronte al dominio del capitalismo finanziario e i suoi dispositivi statali ed istituzionali di oppressione e sfruttamento.

L’ascrizione del problema in una cornice latinoamericana chiama all’approfondimento dello stato della questione degli archivi in direzioni che procedono da una matrice notoriamente eterogenea, tanto quanto lo sono le diverse forme di intervento critico attraversate: dalle rivendicazioni postcoloniali a quelle dei collettivi sociali, dei movimenti femministi, delle dissidenze sessuali, dalle dispute sociali per la memoria alle correnti estetiche e le pratiche artistiche che producono alterazioni e mutazioni nel corpo sociale.

Per questo numero ci interessa inoltre approfondire le relazioni tra il pensiero deleuziano e la riflessione filosofica latinoamericana sull’archivio, in quanto possiamo intendere quest’ultimo come macchina sociale trasversale e coestensiva a tutto il campo sociale che, a sua volta, delimita, classifica ed organizza, con il fine di stabilire l’ordinamento politico che definisce “l’attuale”. Quest’ultima inflessione della nozione di archivio come macchina sociale in alleanza con il pensiero deleuziano è stata proposta dal pensatore cileno André Maximiliano Tello per dar conto della costituzione macchinica dell’archivio (del suo concatenamento con altre macchine come quella statale o quella capitalista) e delle linee di fuga che sfuggono alla sua chiusura, ossia, di quelle forze anarchiviste che perturbano l’ordine sociale e segnalano altri cammini di resistenza di fronte ai poteri arcontici degli apparati governamentali, delle istituzioni e dei loro dispositivi di disciplinamento e controllo.

Sempre all’interno della critica latinoamericana ma da un’altra prospettiva, Daniel Link traccia la possibilità di un “ben d’archivio” (strizzando giocosamente l’occhio a Derrida), del quale risalta una dimensione più farmacologica tale da farci domandare se non sia possibile riutilizzare gli archivi per attentare contro gli stessi, per contrarrestare il potere degli arconti (e delle loro categorie disciplinari: canone, istituzione, etc.) e per liberare la singolarità delle tracce archiviate. Allo stesso modo, anche Nelly Richard ha tracciato una rotta particolare nella critica culturale, spingendo a pensare gli archivi estetici della rivolta, le cui pratiche costruiscono a loro volta forme del comune in un tessuto di affetti e saperi contro-egemonici. Nelle arti e nella letteratura latinoamericane si trovano diverse esperienze sovversive che partono dalla riappropriazione degli archivi per disordinarne i regimi di verità. È per questi motivi che tali traiettorie o possibili rotte di indagine attraversano le nostre linee di interesse e costituiscono i nodi d’attenzione della presente call for papers. Qui l’archivio, sia come nozione che in quanto pratica, appare come uno spazio intensivo in cui si configurano le relazioni tra forme di sapere e di potere, ma anche tra modi di soggettivazione che resistono e la disobbedienza anarchica delle rispettive pratiche.

In definitiva, questo numero si propone di seguire la scia delle esperienze anarchiviste latinoamericane riconoscendone la dimensione pluralista, eterogenea e singolare, alla luce delle sue implicazioni teoriche, politiche, estetiche e culturali in un’epoca di trasformazioni radicali nelle tecnologie di immagazzinamento, classificazione e strumentalizzazione delle tracce della produzione sociale su scala globale.

Pensiamo così il movimento anarchivista latinoamericano come un movimento di perturbazione, un disturbo del sogno assolutista dei governi della memoria, contro i regimi di verità che pretendono unificare i registri della molteplicità latente nella vita sociale. In ultima istanza, pensiamo il movimento anarchivista come una forma di salute nel mezzo delle minacce totalitarie del presente.

Principali (ma non esclusive) linee di lavoro:

  • Macchinare l’archivio: Esiste una relazione tra la filosofia contemporanea e il pensiero latinoamericano sull’archivio? Cosa definisce una pratica anarchivista nel contesto del pensiero latinoamericano? Quali sono le alleanze possibili tra il pensiero deleuziano e le pratiche anarchiviste in America Latina? È possibile attivare zone di resistenza anarchivista contro il potere arcontico delle nuove tecnologie di archiviazione e controllo sociale?
  • Anarchivi e forme del comune: Quali sono le strategie collettive di intervento anarchico nella produzione culturale contemporanea? Quali le forme di anarchivio e le loro reinvenzioni teoriche e creative: archivi inappropriabili, archivi anomici, archivi del futuro? Che relazione mantengono i nuovi media con le forme di disarchiviazione e anarchiviazione? Come pensare un’etica anarchivista per la rivendicazione del comune? Può l’anarchivio costituire e rendere possibili altre forme di comunità?
  • Pratiche anarchiviste latinoamericane: Come attivare modi di resistenza anarchivista nelle pratiche politiche del quotidiano? Che relazione esiste tra Stato, archivio e anarchivismo? È possibile pensare nuove relazioni tra saperi, poteri e modi di soggettivazione? Come si articolano gli archivi della rivolta, le memorie del conflitto e le lotte collettive per la vita?  Come si relazionano le lotte femministe, le dissidenze sessuali, i processi decolonizzatori con le pratiche anarchiviste?
  • Nozione di archivio e critica latinoamericana: è possibile una nuova relazione tra lettura, letteratura ed archivio? Come attivare un ben d’archivio che obliteri la sua funzione arcontica come spazio di dominio dei corpus e dei corpi? Quali sono le strategie anarchiviste per disorganizzare la biblioteca, il canone e la tradizione?
  • Archivio, letteratura e memoria: Qual è la relazione e la differenza tra incorporazione di materiali di archivio nella letteratura e macchinazioni letterarie contro l’archivio? In che senso la sovversione acquisisce una posizione chiave nella relazione tra archivio e letteratura? Come costruire sul piano letterario archivi fittizi, scritture dissidenti e memorie controegemoniche?

Bibliografia

Derrida, Jacques (1996). Mal d’archivo: un’impresione freudiana. Napoli: Filema.

Deleuze, Gilles (2018). Foucault. Napoli-Salerno: Orthotes.

Foucault, Michel (1999). L’archeologia del sapere. Una metodologia per la storia della cultura. Milano: Rizzoli

Foucault, Michel (2016). Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane. Milano: Rizzoli.

Link, Daniel (2019). “Bien de archivo”. En Actas de las III Jornadas de discusión/ II Congreso Internacional. Archivos personales en transición, de lo privado a lo público, de lo analógico a lo digital. Buenos Aires: CEDINCI. Link: Http:/jornadasarchivos.cedinci.org/wpcontent/uploads/2019/11/Actas-archivos-personales-en-transicion-2019.pdf.

Tello, Andrés Maximiliano (2018). Anarchivismo: Tecnologías políticas del archivo. Adrogué: La Cebra.

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