F. Vitale – Mitografie. Jacques Derrida e la scrittura dello spazio – recensione di Mario Parretta

Francesco Vitale, Mitografie. Jacques Derrida e la scrittura dello spazio, Mimesis, Milano-Udine 2012, pp. 120, euro 13

Il libro Mitografie. Jacques Derrida e la scrittura dello spazio, edito da Mimesis Edizioni, raccoglie una serie di scritti – ampiamente rimaneggiati – che Francesco Vitale, professore di Storia delle dottrine estetiche presso l’Università degli studi di Salerno, ha presentato in varie occasioni, con diverse finalità e in contesti differenti; di questi, uno solo è inedito, “Apertura”.
Questa raccolta ha diversi pregi, a partire dalla chiarezza espositiva, che la rende agevole e fruibile anche a chi ha poca confidenza con l’opera del filosofo franco-algerino. Un ulteriore merito del libro è quello di esplorare il rapporto e il debito che Derrida ha contratto con il pensiero del paleontologo, archeologo ed

etnologo francese André Leroi-Gourhan, al quale dobbiamo la nozione di ‘mitografie’, esposta nell’opera capitale Le geste et la parole – concetto non secondario o marginale nell’elaborazione teorica di un testo importantissimo quale è De la grammatologie.
Sintetizzando molto, possiamo dire che Leroi-Gourhan invita a ripensare radicalmente la genesi della scrittura, superando, in primo luogo, la (falsa) distinzione tra la scrittura e le arti figurative e, quindi, il modello teleologico, che pone la scrittura lineare fonetico-alfabetica come momento evolutivo ultimo e qualitativamente superiore nella filogenesi dei sistemi di notazione. Risalendo la genealogia della scrittura alfabetica, il paleontologo la riconnette alle esigenze particolari e al contesto antropologico in cui è nata – momento in cui l’umanità necessitava di uno strumento utile a catalogare e quindi a dominare il proprio ambiente, ad accumulare e distribuire conoscenze e beni materiali. La scrittura diventa così uno strumento dell’utilitarismo tecnico-economico e ciò avviene a caro prezzo: nel passaggio dal grafismo pluri-dimensionale delle mitografie alla scrittura tecnico-burocratica, assistiamo innanzitutto ad un preoccupante impoverimento dei mezzi d’espressione dell’esperienza. La mitografia rispetto alla scrittura gode, per citare Leroi-Gourhan, “di una certa indipendenza; il suo contenuto esprime nelle tre dimensioni dello spazio quello che il linguaggio fonetico esprime nell’unica dimensione del tempo”. Inoltre, tale passaggio ci permette di osservarela “subordinazione del grafismo al linguaggio sonoro”, in cui per Derrida consiste il logocentrismo che anima la metafisica della presenza occidentale.
Per superare la metafisica della presenza occorre liberare la scrittura dall’autoritarismo del logos, rinunciare all’idea che la Verità si manifesti nella parola pronunciata e che la scrittura abbia il mero compito di fissare questa verità in segni grafici, rifiutando la riduzione del simbolo a segno convenzionale.
Bisogna pertanto liberare l’immaginazione e farlo attraverso una riconquista della scrittura pluri-dimensionale, diversamente capace di utilizzare la distribuzione spaziale e l’articolazione tra diversi sistemi di notazione: una mitografia a venire”, come scrive Vitale; la possibilità di un’altra scrittura dello spazio, come direbbe Derrida.
Cosa vuol dire questo? Vuol dire che l’archi-scrittura, intesa quale “irriducibile condizione di possibilità dell’esperienza e quindi quale irriducibile condizione di possibilità dell’elaborazione del senso”, non può essere identificata con la scrittura lineare fonetico-alfabetica, con la scrittura del libro. Vi sono altre possibili modulazioni dell’archi-scrittura ‘rimosse’ dalla nostra cultura; si tratta di individuare tali tracce di rimozione nel testo della tradizione occidentale e di innestarle nell’architettura della decostruzione.
Altro merito del libro di Vitale è proprio quello di indagare e mostrare il rapporto tra Derrida e l’architettura: tale relazione, infatti, non sembra essere né periferica né occasionale, ma decisiva per capire come sia possibile la scrittura della decostruzione; una scrittura che deve guardare alla scrittura dell’architettura, a quei “tratti di spaziatura” che somigliano alla produzione del disegno dell’architetto. D’altronde, è lo stesso Derrida nel suo libro Point de folie – maintenant l’architecture,a definire l’architettura in quanto “ultima fortezza della metafisica”, come ricorda Vitale, il quale ci invita

a prendere sul serio tale testo, dove viene avanzata l’ipotesi che l’efficacia stessa della decostruzione possa dipendere dalla possibilità della decostruzione dell’architettura.
Una tesi audace e non meramente provocatoria che, attraversata ed esplorata come fa Vitale, aiuta a comprendere meglio un’altra opera di Derrida, Glas. Testo difficile e complesso, enigmatico, che Vitale sottrae alla vulgata incline a leggere quest’opera giovanile come uno scherzo, una provocazione. L’autore esamina il rapporto tra Derrida e il lavoro dell’architetto Bernard Tschumi, permettendoci di leggere Glas al di fuori dallo schema del ready-made filosofico-letterario, sottolineando come esso metta in crisi l’idea del libro, “strutturalmente solidale con il sistema della metafisica della presenza che si impone all’ordine del Logos”. Glas è allora un artefatto architettonico che propone un’altra organizzazione spaziale, che dispiega la logica della spaziatura per far saltare assieme all’Idea del Libro anche la logica della metafisica della presenza. “La spaziatura – come scrive Vitale – implica la possibilità di rivelare relazioni complesse – intersezioni, analogie, sovrapposizioni, inversioni – tra gli elementi e le strutture che costituiscono opere che si presumono quali totalità in se stesse compiute, chiuse, l’una all’altra estranee. Quindi la possibilità di elaborare, a partire da achat cialis pas cher questi elementi differenziati, artefatti architettonici capaci di produrre effetti di senso necessariamente non previsti dall’Idea del Libro”.
Il libro di Vitale si chiude con l’analisi di Asterios Polyp, la graphic novel di David Mazzucchelli che, secondo l’autore di Mitografie, è non solo un ottimo esempio di scrittura mitografica pluri-dimensionale e decostruttiva, ma anche un’ esemplificazione di come sia possibile scrivere mitograficamente nella contemporaneità: scrivere diversamente impone di leggere diversamente (anche il tempo in cui viviamo).
 
Scrittura, decostruzione, spaziatura, architettura, archi-scrittura, sono le parole-concetto che tengono insieme i testi contenuti in Mitografie, libro che, pur non proponendo nulla di completamente nuovo nel panorama degli studi derridiani, offre tanti spunti di lettura e di riflessione sia nei confronti delle opere di Derrida, sia rispetto ai linguaggi della nostra quotidianità.
Insomma, nell’epoca del “ce lo chiede l’Europa”, del “non ci sono altre strade possibili”, dell’austerity economica e mentale, Vitale ci invita,

riflettendo sugli scritti del filosofo franco-algerino, a liberare l’immaginazione e propone di farlo scrivendo – quindi leggendo – la ‘trama che abitiamo’ attraverso e per mezzo di nuove mitografie.

Mario Parretta

 

 

You May Also Like