Numero 1 – Crisi delle Biopolitiche Europee

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“Solo così sarebbe possibile decidere se l’umanità europea rechi in sé un’idea assoluta e se non sia un mero tipo antropologico empirico, come la Cina o l’India; e inoltre: se lo spettacolo dell’europeizzazione di tutte le umanità straniere annunci la manifestazione di un senso assoluto rientrante nel senso del mondo o se non rappresenti invece un nonsenso storico”

E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1936) §6

 

Umanità. Europeizzazione, storicità. Queste le coordinate del quadro critico dello scenario mondiale tracciato da Husserl – quasi come fosse una premonizione – poco prima della Seconda guerra mondiale. Allo stesso modo, esse possono presentarsi  come le ipotetiche coordinate del quadro clinico di un altro panorama, il nostro, ben diverso da quello della Crisi delle scienze europee. Ma se da parte sua il gesto critico di Husserl esprimeva il desiderio di “ritornare” a un “mondo della vita”, le cui origini storiche erano chiaramente definite (la filosofia greca platonico-aristotelica), oggi siamo chiamati ad interrogarci sulla stessa pertinenza e sulla possibile trasformazione di tale gesto critico nel mondo contemporaneo: chi è, nel contesto attuale, l’omologo del “funzionario dell’umanità” di cui parlava Husserl? Si tratta del filosofo coraggioso e resistente o piuttosto del poeta, dello psicoanalista, del rivoluzionario, dell’economista, del manager, del banchiere, del migrante, dell’homo sacer o della moltitudine?

1. Il mondo contemporaneo non è infatti più quello di Husserl, ossia un mondo unico, nel quale l’Occidente/Europa si presenta come una “grande famiglia”, con tanto di Padre Capitale e di Madre USA e/o Germania. Nonostante il ritorno husserliano al “mondo della vita” ci appaia sempre meno pensabile, possiamo tuttavia chiederci se una qualche forma di responsabilità sopravviva ancora. Vi sono oggi altri itinerari che si impongono e si moltiplicano, altre strutture comunitarie, economiche e sociali il cui intrecciarsi dà forma a ciò che si è soliti chiamare potere, ossia la capacità di attraversare più forme di vita possibili e di tenere insieme, al contempo, le pratiche d’esclusione ad esso funzionali. È in questi termini che si impone la necessità di una critica approfondita delle biopolitiche contemporanee: una critica che prenda le mosse dal divenire-altro del bìos. In particolare, si tratta da una parte di analizzare i divenire non-europei del bìos e della politica, prendendo spunto dai Post-Colonial studies così come anche dall’antropologia australiana o amerindiana (Glowczewsky, Viveiros de Castro). Questa critica della biopolitica può – e deve – divenire, d’altra parte, il punto di partenza di un pensiero non più esclusivamente incentrato sull’umanità, ma che includa anche i  milieux della tecnica e dell’animalità.

2. Il superamento del paradigma husserliano implica una riflessione al contempo etimologica, epistemologica e politica sullo stesso  concetto di biopolitica. A tal proposito, vanno innanzitutto distinti i due sensi “classici” di questa nozione: un primo senso, il più vasto, che include l’intera storia dei rapporti tra vita e politica (Agamben), e un secondo senso relativo all’insieme dei poteri e dei saperi legati all’emergere del campo biomedico (Foucault). Se per un verso queste definizioni vanno reinterrogate alla luce dei nuovi dispositivi della governamentalità neoliberale, per altro verso si impone una reazione strategico politica: cosa fare di questa duplice nozione se la si usa come strumento d’intervento e di trasformazione delle nostre vite? Questa domanda ci permette di spostare il quadro delle risposte dal piano a-contestuale (e dunque piuttosto improduttivo) delle definizioni a quello delle azioni collettive, procedendo nello stesso tempo alla costruzione di prospettive d’intervento e di soggettività plurali che se ne assumano la responsabilità. Per cominciare, occorre diagnosticare e affrontare i sintomi del malessere materiale e ideologico contemporaneo, dal momento che la pauperizzazione, la proletarizzazione, e la stupidità sistemica prodotte dalle strategie d’amministrazione (provocate dall’attuale crisi economico-finanziaria) rendono inefficace ogni tentativo di resistenza ai biopoteri capitalistici (Negri-Hardt). Per far fronte a questi dispositivi, diventa allora necessario cercare nuovi mezzi sociali e politici che ci rendano “degni di quel che ci accade”.

3. La nozione di biopotere si complica, diventa più estesa ma allo stesso modo più precisa, laddove integra nuove problematiche quali lo psicopotere (Stiegler) e l’automatizzazione crescente di ogni aspetto della vita. Il concetto di psicotecnica dell’industria culturale (Adorno e Horkheimer) introduce così il problema dello psicopotere, cioè delle tecniche attraverso cui è possibile controllare l’attività cognitiva e libidinale dei soggetti in modo sempre più calcolabile, soprattutto nell’ambito delle abitudini e dei comportamenti individuali e collettivi. Tali circostanze profilano la diffusione di quella “governamentalità algoritimica” (Rouvroy) che si afferma attraverso la convergenza di più aspetti del capitalismo: cognitivi, culturali, linguistici, finanziari o pulsionali. Ponendo l’accento su quest’ultimo aspetto, va altresì sottolineato che l’analisi dell’odierno psicopotere implica una riformulazione dei concetti di bisogno e desiderio. L’individuo, “imprenditore di se stesso”, secondo il paradigma manageriale, fa esperienza del passaggio da una logica del bisogno a una logica pulsionale, la quale non è altro, a conti fatti, che un impoverimento della dimensione sociale del desiderio.

4. Sul piano dei bisogni, assistiamo in Occidente a un capitalismo dell’austerità, che corrisponde, sul piano del desiderio, a un capitalismo della miseria – e in questa mutazione al ribasso ciò che si impoverisce è precisamente il bìos. In particolare, ad essere colpiti sono i tre aspetti costitutivi della biopolitica foucaultiana, ossia la sanità, l’educazione e il lavoro (come è ormai evidente in Grecia, Spagna e Italia). Il biopotere di Stato passa così il testimone alla bioeconomia del Mercato, la cui mano invisibile è stata sequestrata dalla Troika e condotta a commettere autentici crimini contro lo stesso bìos. Si tratta specificamente di crimini sociali (e la formula “lacrime e sangue” riassume perfettamente l’azione criminale) che a loro volta sono quasi invisibili in quanto crimini, poiché la logica TINA (“There is no alternative”), mascherandoli da sanzioni, impone la rimozione della loro ferocia, e, allo stesso tempo,  in nome del funzionamento del Mercato, la cessazione di ogni critica ad essi rivolta.

5. Un’altra faccia di questa invisibilità del crimine concerne la gestione delle guerre e dei conflitti internazionali da parte dei dispositivi di potere occidentali. La tappa reticolare, digitale e poi robotica della tecnopolitica è il braccio armato di questo potere senza riserve che, in nome del mito del progresso tecnologico senza alternativa, istituisce  e utilizza sistemi di armi letali autonome (SALA), come i droni, nei fronti di guerra contemporanei (Chamayou). Si passa così dalla biopolitica a una sorta di thanatopolitica, in cui la responsabilità morale e giuridica dei crimini umanitari è delegata alle macchine: anch’essa, di conseguenza, diviene invisibile. Una strategia tecnocratica che mira alla dissoluzione della “coscienza di essere”, attraverso le tappe relative al suo dominio, alla sua ri-programmazione e infine alla sua eliminazione. Con la realizzazione e l’utilizzo di queste armi letali divenute totalmente autonome, l’umanità ha così guadagnato il proprio non-diritto alla vita.

6. Nell’attualità della società digitale, il problema che si presenta alla filosofia del XXI secolo si potrebbe formulare così: come proteggere questa “coscienza d’essere”, questo “luogo della vita”, dunque questo bios che perde progressivamente il proprio spazio naturale, dall’automatizzazione generalizzata di ogni aspetto e di ogni modo d’esistenza, umana e non umana? Quali possono essere in tale contesto le nuove armi di cui Deleuze e Guattari parlavano? Una direzione possibile può essere quella legata alla presa in carico degli aspetti “bioestetici” (Montani), ossia, ad un tentativo di ricapacitazione della facoltà comune di sentire. Tale capacità si trova ormai sempre più delegata a particolari dispositivi idonei a gestirla, i quali, selezionando e mantenendo attivi solo quei segmenti di sensibilità che possono essere canalizzati e cristallizzati in pratiche (o su oggetti) particolari, provocano allo stesso tempo una generale an-estetizzazione. Com’è possibile, in questa situazione, evitare la riduzione della realtà a un puro evento anestetico e biocratico, e, allo stesso tempo, il prosciugamento e l’atrofia dei processi emotivi e cognitivi?

7.  Occorre inoltre sottolineare che un’analisi dell’esperienza estetica non può limitarsi allo studio della semplice dimensione privata dell’individuo, estrapolata da ogni interazione con il suo ambiente comunitario. La questione bioetica dell’ambiente sociale implica la descrizione delle trasduzioni dell’esperienza tra il pubblico e il privato, favorendo così una critica implicita, ma al tempo stesso centrale, delle “ontologie piatte” (Delanda) e del principio di “irriduzione” (Latour). Un’autentica “estetica della vita” non si limita più al quadro strettamente antropologico, che rischia di rimanere antropocentrico, ma deve essere in grado di assumere una pluralità di prospettive soggettive non-umane e “pre-individuali”.

L’insieme di tali questioni, situate su una linea al tempo stesso estetica e politica, preludono al passaggio da una “logica biofilosofica del senso” a una “logica biopolitica della sensazione” (Alliez). La direzione di ricerca che s’intende qui suggerire mira perciò alla definizione-invenzione di pratiche inerenti la capacità di sentire come focolaio da cui partire per istituire una nuova dimensione sociale del desiderio. A tal proposito, le condizioni bio-psico-tecno-politiche sin qui delineate ci spingono a praticare quella che Deleuze aveva definito l’arte del controllo, ossia la tecnica di rovesciamento dei meccanismi di sorveglianza, mettendoli al servizio della funzione antagonista al potere dominante, per inventare nuovi modi di vita.

TEMI SUGGERITI

 1. La congiuntura attuale e le sue metamorfosi

Postcolonialismo, postumanismo, crisi finanziaria e finanziarizzazione della vita

2. Re-interpretazione/re-invenzione

Nuove definizioni, reazioni strategiche dei movimenti e dei collettivi, sintomatologie del neoliberalismo

 3. Psicopotere

Reti sociali digitali, neuromarketing, governamentalità algoritmica, sfruttamento pulsionale del capitale umano

4. Bioeconomia

Precarietà, rapporto Capitale/Lavoro, beni comuni/Comune, bitcoin

 5. Thanatopolitiche

Droni, scenari internazionali di guerra, bioetica

6. Bioestetica

An-estetizzazione, miseria simbolica, “arte del controllo”

7. Il bìos al di là dell’uomo

Bìos individuale/comunitario; esperienza pubblica/privata; sistemi macchinici, critica dell’antropocentrismo

 

Termine ultimo di consegna: 1 febbraio 2015

Inviare a: ladeleuziana_call@ladeleuziana.org

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A cura della Redazione di La deleuziana, con la collaborazione di Riccardo Baldissone e Alain Bonneau.