Ci sono due modi di richiamarsi alle distruzioni necessarie: quella del poeta, che parla in nome di una potenza creatrice, atta a rovesciare tutti gli ordini e tutte le rappresentazioni per affermare la differenza nello stato di rivoluzione permanente dell’eterno ritorno; e quella del politico, che si preoccupa innanzitutto di negare ciò che differisce, per conservare, prolungare un ordine costituito nella storia, o per istituire un ordine storico che sollecita già nel mondo le forme della propria rappresentazione. E’ possibile che entrambi i modi coincidano, in un momento particolarmente turbato, ma essi non sono mai lo stesso.
Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione
La vita troverà una via di scampo, anche da questa critica.
Martin Heidegger, Natorp-Bericht
1. ATTUALITÀ DELL’ANTI-EDIPO
L’Anti-Edipo nasce in un contesto politico culturale, immediatamente successivo al Sessantotto, in cui la posizione dei suoi due autori ha prodotto giudizi contrastanti. Considerato il manifesto azzardato, e a tratti incomprensibile, del desiderio anarchico, l’Anti-Edipo pone tuttora delle domande che mettono in luce, forse più di prima, l’ambizione kantiana e l’ispirazione spinoziana di Deleuze: il progetto a quattro mani con Guattari è infatti «una specie di Critica della ragion pura al livello dell’inconscio»1e, nello stesso tempo, uno «spinozismo dell’inconscio»2. Appaiono ancora rilanciabili tre domande dell’Anti-Edipo: I. Quali le traiettorie della psicanalisi dopo la scoperta freudiana di un principio di produzione inconscia? II. Perché il disagio psichico è vissuto con un certo imbarazzo nell’ambito di diversi saperi e di diverse istituzioni? III. In che modo l’inconscio incide sulle contraddizioni del presente, dunque, sui conflitti tra realtà differenti e sempre più estese quali società, gruppi, schieramenti etc.? Il noto attacco dell’Anti-Edipo alla psicoanalisi non si separa dal tentativo, sviluppato nel corso dell’intero libro, di fondare una politica del desiderio. Tentativo, questo, che Deleuze e Guattari articolano sui due piani strettamente connessi di una critica alle letture «edipizzanti» del sociale e di un’analisi dei modi di riproduzione del capitalismo. Ponendo le questioni nel segno di questa duplice tensione, Deleuze e Guattari concepiscono la «schizoanalisi» come una pratica mediante cui rilevare criticamente, nel loro contesto, i limiti di psicoanalisi e marxismo nelle loro stesse capacità di lettura e trasformazione della realtà e della storia.
Nello stesso decennio di Capitalismo e schizofrenia (il progetto generale di Deleuze e Guattari, che comprende, oltre all’Anti-Edipo, la monografia su Kafka del 1975 e Millepiani del 1980), la biopolitica entra con Foucault al centro del dibattito filosofico contemporaneo. Nel corso al Collège de France dedicato alla Nascita della biopolitica (1978-1979), Foucault indaga le trasformazioni del rapporto tra vita e politica dopo avere rilevato, nella Volontà di Sapere, che mentre nell’antichità l’uomo è considerato «un animale vivente ed inoltre capace di esistenza politica», nella modernità egli diventa «un animale nella cui politica è in questione la sua vita di essere vivente»3. Sulla scorta di Foucault, e segnatamente con Agamben, la biopolitica rifletterà nei decenni successivi sull’altrettanto problematico rapporto tra la zoé, «il semplice fatto di vivere, comune a tutti gli esseri viventi» e il bìos, «la forma o maniera di vivere propria di un singolo o di un gruppo»4. Così come, per riflettere sui temi chiave della biopolitica (sovranità, comunità, agire politico, norme, ecc.), è risultato opportuno risalire alla differenza tra zoé e bìos, risulterà necessario, allo stesso scopo, insistere sulle contraddizioni più incisive del rapporto tra vita e politica. Esposito concepisce in tal senso una dialettica fondamentale tra biopolitica e tanatopolitica. Quest’ultima costituisce l’«anello assente della riflessione foucaultiana» dal momento che la «genesi specificamente moderna» della biopolitica non sarebbe dimostrabile a prescindere dall’analisi dei modi in cui il potere arriva a stabilire ordine «producendo» morte (come nei totalitarismi del Novecento). La «politicità del bìos», indica pertanto Esposito, è andata sempre più affermandosi come una traduzione immediatamente politica della zoé e, al tempo stesso, come una caratterizzazione intrinsecamente biologica della politica5. L’ Anti-Edipo costituisce, lungo questa traiettoria, la premessa di una biopolitica dell’inconscio che, nel ridefinire il problema dei rapporti tra disagio psichico e politica, può incidere sull’odierno campo socio politico attraversandolo su quello che lo stesso Esposito definisce il «margine pericoloso dell’impersonale»6. Sussiste pertanto una certa coerenza dell’Anti-Edipo con le coordinate generali della biopolitica; coerenza che rende favorevole, a nostro avviso, un pieno rilancio delle tre questioni fondamentali sopraccennate nella misura in cui, tornando a giocare di contrasto col lacanismo, la «schizoanalisi» introduce un rapporto a tutt’oggi politicamente fecondo tra il vivere e l’agire7.
2. LA PSICOANALISI E IL SUO DOPPIO
Deleuze e Guattari muovono dalla tesi storico epistemologica di Foucault secondo cui la conoscenza sui problemi psichici si irretisce, tra il XVIII e il XIX secolo, in un’«istituzione», la psichiatria, divenuta nel tempo uno degli strumenti privilegiati del controllo sociale8. Il saperepsicopatologico arriva a fungere da veicolo del potere nella misura in cui quanto più la psichiatria «media» nei rapporti tra «istituzioni» (famiglia, giurisdizione, polizia, stato ecc.) tanto più si ritrova in qualche modo presa in questi stessi rapporti. Se la tendenza a considerare gli «alienati» come «minorati», fino al XVIII secolo, non si manifesta in «rapporti concreti tra uomo e uomo», ma piuttosto nella risoluzione giuridica dell’interdizione, nel XIX secolo tale tendenza genererà una peculiare forma di «coesistenza» tra la déraison del soggetto folle e la raison di un soggetto autoritario che assume «l’aspetto concreto dell’adulto», alla cui tutela la società destina in modo quasi automatico i folli (il «minorato» è assimilato sempre più al «minore»)9. Si instaurano così le condizioni di un «avvolgimento» dell’esistenza intera della follia nel complesso di Edipo10.
La nascita della psicoanalisi coinciderebbe col «raddoppiamento» dell’alienazione della follia nella famiglia: alla situazione dei manicomi «costituiti sul modello familiare», infatti, la psicanalisi intreccerà il «mito» di una possibile «abolizione» dell’alienazione stessa nella purezza patriarcale o in quella matriarcale11. La «dialettica per metà reale e per metà immaginaria» della famiglia sviluppata dalla psicanalisi, osserva Foucault, finirà col ridurre «quello che era stato il grande confronto irreparabile tra ragione e déraison» a mera «pressione degli istinti contro la solidità dell’istituto familiare»12.
Il primato, nella psicanalisi lacaniana, dell’idea di «complesso» su quella di «istinto» si rivela funzionale a questa riduzione sin dalla prima volta in cui, ne I complessi familiarinella formazione dell’individuo (1938), Lacan affronta il tema dell’Edipo. Mentre infatti l’istinto, secondo Lacan, ha un «supporto» organico e «non è altro che la regolazione di questo in una funzione vitale», il complesso «ha solo occasionalmente un rapporto organico, e cioè quando supplisce a un’insufficienza vitale con la regolazione di una funzione sociale»13. Ora, laddove il complesso è assunto come altro dall’istinto, ciò che Lacan chiama «fondamento biologico» o «base materiale» dell’inconscio, pur non essendo assolutamente negato, è definito primariamente tramite «certi rapporti ideali»14. Questa distinzione prefigura la svolta interna alla psicoanalisi che Lacan propone come un ritornoa Freud: la psicanalisi freudiana si imbatterebbe infatti in irrisolvibili contraddizioni – questo uno degli asserti cardine di Lacan – ogni qualvolta «cede al pregiudizio del biologo, che esige che ogni tendenza venga riferita a un istinto»15. La stessa «pulsione di morte», l’anypotheton al di là del principio di piacere, non si rende intellegibile per Lacan se non alla luce di questa cruciale distinzione: questa pulsione indica infatti più di altre quanto il complesso non risponda immediatamente a «funzioni vitali» ma supplisca piuttosto «all’insufficienza congenita di tali funzioni»16. Lacan ammette quindi un rapporto tra l’inconscio e l’organico ma, coerentemente con quello che sarà lo sviluppo della suo «discorso», solo alla condizione che tale rapporto si integri – anche a costo di paradossi che comporteranno diverse rinegoziazioni dello stesso «discorso» – nella formazione di un «simbolico» configurato in termini familiaristici17. La programmatica «debiologizzazione» dell’inconscio condotta da Lacan, nel suo radicalizzare l’«avvolgimento» del disagio psichico nel complesso di Edipo, non fa che confermare la tesi di Foucault.
L’anti-Edipo insiste su un postulato non secondario di Lacan e della psicanalisi in genere: l’Edipo si ritrova naturalmente inscritto nel desiderio allo stesso modo di come il desiderio è storicamente inscritto nell’Edipo. L’inscrizione del desiderio nell’Edipo, sostengono Deleuze e Guattari seguendo fonti etnoantropologiche, non implicherebbe quella di Edipo nella natura del desiderio. Il nucleo della tesi secondo cui l’inconscio non è il teatro della rappresentazione familiare ma la fabbrica della produzione sociale tocca a questo punto la filosofia stessa nella sua origine e nei suoi sviluppi storici più decisivi. Se Lacan pensa il desiderio come manque, «vuoto» moltiplicato o «insufficienza vitale» che l’oggetto del desiderio è chiamato a supplire, infatti, ciò è anche perché sin da Platone non è per niente facile pensare il desiderio in un altro senso18. L’inscrizione dell’Edipo nel desiderio è cioè inscritta, a sua volta, nello spazio dei possibili del discorso platonico: ciò di cui il desiderio manca, sondato in questi termini, è tale non tanto per il suo essere altro da colui che desidera quanto piuttosto perché la sua è un’alterità soltanto rappresentabile19. L’altro di cui il desiderio manca, infatti, non esiste a prescindere da un soggetto che lo rappresenta come altro da sé. Il soggetto desidererà l’altro nella misura in cui l’altro può stargli propriamente di fronte, offrendosi o sottraendosi ai suoi sensi, alla sua memoria, al suopensiero e a tutto ciò che determina il desiderio, da ultimo, come il proprio desiderio20. Se Deleuze e Guattari sostengono che la psicoanalisi «porta a termine» la riduzione della déraison a «discorso parentale e moralizzato della patologia mentale»21 è perché la loro critica si lega a doppio filo da un lato con la proto-inscrizione platonica di Edipo nel desiderio e, dall’altro lato, con la tendenza «debiologizzante» del lacanismo.
La tesi altrettanto nota dell’Anti-Edipo secondo cui ildesiderio non manca di nulla si articola così nell’invertire la tendenza a «debiologizzare» l’inconscio e nel pensare, allo stesso tempo, una radice del desiderio più profonda di quella pensabile in rapporto al complesso di Edipo. Lo «spinozismo dell’inconscio» di Deleuze e Guattari riassume l’idea di un desiderium sive vita liberato – più come un rilascio di potenziale che non come l’abolizione di un vincolo – da ciò che, confinando il desiderio nel vissuto della mancanza, rende impossibile un’esperienza vivente dell’inconscio. Deleuze e Guattari fondano ora il desiderio correlato alla rappresentazione della mancanza su un più radicale e immanente processo del desiderio come causa sui: produzione sociale e produzione naturale sarebbero cioè gli attributi di un’unica «produzione primaria» del desiderio, identità assoluta della produzione inconscia e delle produzioni. Per desiderio si intende quindi nell’Anti-Edipo l’autoproduzione nell’unità della natura e della storia di «tutta la vita generica»22 non individuata in un soggetto definitivamente determinato. La «produzione primaria» si rende implicitamente inaccessibile nel momento stesso in cui il desiderio è riferito alla mancanza. Pur rimanendo in primo piano rispetto alle relazioni d’oggetto, in quest’ultimo caso, il desiderio si relaziona all’oggetto di cui esso manca soltanto mediante una causa che promana da un campo (biologico, materiale, sociale) che trascende la realtà da cui lo si analizza. La psicoanalisi lacaniana, indifferente doppio della società, è pertanto criticata da Deleuze e Guattari nella sua congenita improduttività politica: non potendosi spingere oltre la semplice riflessione sull’inconscio, essa non coglie ciò che nell’inconscio trasforma realmente la vita o, più precisamente, ciò che nell’inconscio è vita in continua trasformazione.
3. L’IMPOSSIBILE DELLA SOCIETÀ
Se l’Edipo è un’«illusione inevitabile»23, l’Anti-Edipo può leggersi come una quaestio juris impiantata da Deleuze e Guattari sul terreno stesso della psicoanalisi. Il «campo analitico» di Lacan, come accennato, si fonderebbe sulla irreversibilità di inconscio e produzione inconscia laddove invece, per Deleuze e Guattari, da Freud in poi deve considerarsi irreversibile l’inseparabilità dei contenuti della coscienza dal fondo della produzione inconscia. Lacan opererebbe allora una «castrazione» del desiderio, neutralizzandone le potenzialità. Lo storico «avvolgimento» della déraison nell’involucro edipico giunge qui a compimento: la psicoanalisi pretende di cogliere la verità del desiderio deducendola a partire da «certi rapporti ideali». Ma proprio quando pretende di affermare la piena aderenza del «campo analitico» aldesiderio, Lacan pone al transfert il limite della rappresentazione: l’analista potrà pronunciarsi suldesiderio purché il desiderio sia desiderio dell’Altro, l’altro del desiderio, l’altro dal desiderio, l’altro desiderio, il desiderio altro, l’Altro dell’Altro. Secondo Deleuze e Guattari quantopiù la psicanalisi «debiologizza» l’inconscio, separandolo dalla sua «base materiale», tanto più l’equivocità del desiderio impedisce di accedere rappresentativamente alla produzione inconscia.
La concezione lacaniana del desiderio, dunque, non fa un passo in avanti rispetto a concezioni prefreudiane del desiderio. Già in Kant, infatti, il desiderio è la «facoltà di essere, mediante le proprie rappresentazioni, causa della realtà degli oggetti di tali rappresentazioni»24. Lo psicopatologo Florent Gabarron-Garcia ha recentemente evidenziato quanto la pratica psichiatrica e psicanalitica persista nel pronunciarsi fin troppo in anticipo sul desiderio del «paziente», facendo leva su un «dispositivo di legittimazione permanente»25 delle psicosi. Tale dispositivo, «eredità del XIX secolo» tuttora poco «problematizzata» da analisti e clinici, trova piena effettuazione nella pratica della «presentazione del malato» – fondamentale per lo stesso Lacan – lì dove l’uditorio di discenti ed esperti è chiamato perlopiù a legittimare le ipotesi di colui che presenta un «caso clinico» tendenzialmente «costruito»26. Pensando il desiderio in virtù dell’opposizione tra la causalità psichica e la causalità materiale, questo è quello che qui più ci interessa, la psicanalisi tende inevitabilmente per Deleuze e Guattari a scambiare il fantasmatico in generale (riflessi e ombre della coscienza e del preconscio) per effettiva produzione inconscia. Ponendo il desiderio come «produzione di produzioni», Deleuze e Guattari individuano da parte loro un campo analitico materialista fondato sull’identità tra la dimensione biologica dell’homo natura e quella sociale dell’homo istoria. Nell’ipotesi di un’intercambiabilità del desiderio con la vita (desiderium sive vita),l’analisi materialista lavora sulle sintesi «produttive», «connettive» e «disgiuntive», per dedurre i modi della produzione del desiderio27. Non più soltanto ideali o possibili, i «rapporti» della produzione inconscia operano indistintamente e contemporaneamente sul piano biologico, sul piano economico e su altri piani separabili, solo per ipotesi, dall’inconscio. Nella sua attività sintetica la produzione del desiderio sfugge al reticolo della rappresentazione (linguaggio, pratiche sociali, logica dell’opposizione etc.). Tutto quello che il desiderio produce non vale nella realtà se non per e attraverso l’inconscio vitale che, al limite della rappresentazione, è pensabile come «soggetto transposizionale»28 le cui produzioni non cessano di reiniettarsi nel processo di autoproduzione.
Il problema decisivo di Deleuze e Guattari è, allora, come integrare in un unico e medesimo processo ciò che rende impensabile la produzione inconscia. La necessità del «processo primario del desiderio» implica che niente al di là del desiderio possa introdurre la rappresentazione nel produzione inconscia. Deleuze e Guattari intendono per «schizofrenia» il processo produttivo del desiderio nel suo essere identico a se stesso sia assolutamente in sé sia relativamente ad altro da sé: se nel primo senso si tratta della «produzione primaria del desiderio», nel secondo senso si tratta della medesima produzione che, in quanto «processo metafisico», introduce l’equivocità nel reale univoco29. In quest’univocità ontologica del reale, la schizofrenia non è più soltanto considerabile per come è «data» nelle rubriche del sapere clinico, ma per come essa si dà effettivamente al limite della produzione sociale. Ora, alla variabilità storica dei codici delle società in rapporto ai sistemi di produzione e riproduzione sociale, secondo Deleuze e Guattari, si accompagna la variabilità storica dei meccanismi di rimozione della produzione inconscia. Ma la rimozione stessa, come ha evidenziato Guillaume Sibertin-Blanc, si pone nell’Anti-Edipo come la «costante» decisiva della riproduzione sociale in sé: «ogni formazione sociale inibisce, ‘rimuove’, scongiura il processo produttivo che ne segna il limite, come una linea schizofrenica di rottura assoluta. Che nella produzione primaria del desiderio inconscio tutto sia possibile, è precisamente ciò che fa di essa l’impossibile del sociale. La schizofrenia come processo, nell’Anti-Edipo, indicaquesto impossibile e la sua effettività propria»30.
4. COUPURES RÉVOLUTIONNAIRES
L’incidenza politica dell’inconscio si gioca quindi per Deleuze e Guattari intorno alla posizioni limite che le psicosi occupano rispetto ai codici sociali. Il guadagno di una prospettiva strategica interna ed esterna alla riproduzione sociale è nell’Anti-Edipo la condizione necessaria della «schizoanalisi», ovvero, di quella politica del desiderio di cui il lacanismo per così dire «manca».
L’esigenza dell’Anti-edipo è da questo punto di vista quella di rendere analizzabili, sperimentabili e al contempo trasformabili le «conflittualità libidinali» e inconsce che innervano la realtà più secondo ritmi aleatori che non secondo logiche, leggi, programmi, finalità etc31. Deleuze e Guattari pensano dunque una pratica-limite che si concretizzi nella eventuale coupure révolutionnaire: una «rottura» (sociale, politica, istituzionale etc.) assolutamente imprevedibile innanzitutto perché non rappresentabile da un soggetto stricto sensu (sia esso individuale o collettivo). L’evento rivoluzionario infatti, nel suo stesso effettuarsi, è talmente ambiguo e così intrinsecamente eterogeneo da non potersi riflettere in una coscienza. La coupure révolutionnaire non testimonierebbe altro che la stessa difficoltà da parte di soggetti già costituiti (le masse, i collettivi, i partiti, le classi ecc.) di divenire soggetto della storia. Una politica dell’inconscio, questo il messaggio ancora attuale dell’Anti-Edipo, lavorerà sui modi sempre nuovi in cui il desiderio di un soggetto si trova impercettibilmente incluso in una sola e medesima produzione desiderante: i soggetti politici così come il ventaglio delle loro relazioni non sono cioè predeterminati ma sono «determinabili» di evento in evento.
L’azione politica individuale e collettiva in statu nascendi potrà adeguatamente svilupparsi allorché la critica dell’ordine sociale non esulerà da quella degli «investimenti» e dei «controinvestimenti» libidinali che, al di là e al di qua di vecchi e nuovi antagonismi, producono la multiversità di un solo e medesimo campo politico mai esplorato del tutto e, per ciò stesso, tuttora esplorabile. Una biopolitica dell’inconscio, ispirata all’Anti-Edipo,potrebbe oggi scrutare le psicosi individuali e di massa installandosi sui limiti del sociale più radicalmente di quanto non faccia già il lacanismo engagée in voga di questi tempi (si pensi all’odierno successo di Žižek e Recalcati). Rimane quanto mai opportuno, in un caso come nell’altro, «resistere» a tutto quello che minaccia di separare irreversibilmente la vita da ciò di cui essa è capace. A questo punto, però, la sola etica del soggetto che «non cede sul proprio desiderio»32 potrebbe non bastare. Se è vero che la biopolitica si concretizza in quella «logica della strategia» che, come già indicava Foucault nel suo corso sulla Nascita della biopolitica, prende necessariamente forma dall’interno del “biopotere” (la struttura onnipervasiva dalle «pratiche» attraverso cui i governi e le istituzioni regolano, disciplinano e controllano popolazioni, gruppi e individui)33, la biopolitica dell’inconscio potrà da parte sua aprire ad una altrettanto strategica logica della contromossa. Questa si concretizza nel darsi stesso delle coupures, momenti estremamente critici e «particolarmente turbati» in cui proprio da ciò che si dice socialmente impossibile prende vita un agire capace di trasformare la realtà, lì dove il desiderio sfugge alla trappola di un Altro che è soltanto il proprio.
Note
1. G. Deleuze, Due regimi di folli e altri scritti, Torino, Einaudi, 2010, p. 255.
2. G. Deleuze, Pourparler, Macerata, Quodlibet, 2000, p. 192.
3. M. Foucault, La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli, 1984, p. 127.
4. G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, Einaudi, Torino 1995, p. 3.
5. R. Esposito, Bìos. Biopolitica e filosofia, Torino, Einaudi, 2004, p. XIII.
6. R. Esposito, Politiche della vita sul margine pericoloso dell’impersonale, in http://www.centroriformastato.it/crs/Testi/interviste/resposito.html
7. Per una rassegna delle più recenti prospettive critiche sulla politica in Deleuze cfr. “Cités” 40, 2009, Deleuze politique (a cura di C. Ramond), fascicolo monografico con interventi di Y.C. Zarka, A. Badiou, F. Dosse, G. Sibertin-Blanc, G. Le Blanc, J.C. Goddard. Sulla ripresa dell’Anti-Edipo in ambito biopolitico cfr. “Chimères” 74 – 2010, Biopolitiques? (a cura di C. Vollaire e V. Schaepelynck).
8. M. Foucault, Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano 1978, p. 525 e ss.
9. Ivi, pp. 556-557.
10. Ivi, p. 558.
11. Ibidem.
12. Ibidem.
13. J. Lacan, I complessi familiari nella formazione dell’individuo, Torino, Einaudi, 2005, p. 18.
14. Ibidem.
15. Ivi, p. 19.
16. Ibidem.
17. Il desiderio inconscio, per Lacan, fa uno con la «manifestazione del simbolo» in quanto «uccisione della cosa»: il desiderio emerge cioè, in ogni soggetto, nel suo vivere la «perdita di godimento», già «eternizzata» sin dall’infanzia con la «perdita primordiale» del godimento che da neonato il soggetto traeva dalla madre (cfr. J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, in Scritti (I), Torino, Einaudi, 1974, pp. 310-314). «Eternizzazione» saldata definitivamente nella «metafora paterna» che rende possibile il gioco speculare e «immaginario» tra madre e figlio strutturando, mediante meccanismi di presenza e assenza improntati al Fort-Dafreudiano, sia il «simbolico» maschile che quello femminile. L’elemento paterno coincide tout courtcol simbolico nella misura in cui è grazie a tale elemento, identificato da Lacan nel «significante» del fallo, che il desiderio può «circolare» nel simbolico. Sin dalla sua prima messa a tema dell’Edipo, d’altronde, Lacan pone nell’imago paterna ciò che «polarizza nei due sessi le forme più perfette dell’ideale dell’io, di cui basta indicare che realizzano l’ideale virile nel ragazzo e l’ideale virgineo nella ragazza» (I complessi familiari, cit., p. 45).
18. Il desiderio è per Lacan quella «potenza della pura perdita» che testimonia del «carattere incondizionato della domanda d’amore» nel senso in cui «all’incondizionato della domanda, il desiderio sostituisce la condizione assoluta: questa condizione libera infatti quanto la prova d’amore ha di ribelle alla soddisfazione di un bisogno. Ecco che il desiderio non è né l’appetito della soddisfazione né la domanda d’amore, ma la differenza che risulta dalla sottrazione del primo alla seconda, il fenomeno stesso della loro scissione (Spaltung)». J. Lacan, La significazione del fallo, in Scritti (II), cit., p. 668.
19. Platone «prepara il mondo della rappresentazione», secondo Deleuze, dal momento in cui ne attua la «prima distribuzione degli elementi» (identità nel concetto, opposizione nella determinazione, analogia nel giudizio, somiglianza nell’oggetto). Il principium individuationis tende così ad essere pensato sempre come principium comparationis: una cosa è cioè sempre relativa ad un «opposto separato» che rappresenta appunto ciò rispetto al quale essa è data, misurata, conosciuta etc. (G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Milano, Raffaello Cortina, 1997, p.186). La critica di Deleuze al «mondo della rappresentazione» non si discosta, in tal senso, da quella di Heidegger al pensiero moderno il quale, soprattutto con Hegel, porterebbe al massimo sviluppo la «grande idea» dell’opposizione e, più specificamente, della «rappresentatezza» (Vorgestellheit) come «contrassegno essenziale del pensiero» ( M. Heidegger, Contributi alla filosofia (Dall’evento), Milano, Adelphi, 2007, p. 89). Il principio della “rappresentatezza” nello stesso Hegel – riferimento privilegiato di Lacan – è così riassumibile: «Il sistema si fonda sulla possibilità di porre tutto innanzi al sapere, che mentre rappresenta a sé ogni cosa presenta a sé anche se stesso […] Il sistema è concepibile soltanto sulla base della rappresentabilità (l’esser posto innanzi) di ogni elemento come parte di un intero che include anche se stesso. Il sistema è tale solo nella pretesa che in esso tutti i termini stiano in connessione reciproca rispetto a un termine ultimo a sua volta autoriferito. I termini sono ora oggetti: sono a partire dal loro esser posti innanzi l’uno rispetto all’altro e in riferimento all’universalità che li raccoglie in questo loro carattere, l’oggettività», L. Samonà, Heidegger. Dialettica e svolta, Palermo, L’Epos, 1990, pp. 64-65.
20. La «crisi della funzione paterna» nell’epoca attuale è ad esempio vista dallo psicanalista lacaniano Massimo Recalcati come «evaporazione» e «sparizione» di un padre che non sta più lì dove dovrebbe stare, in un «posto» che rimane «vuoto». Cfr. M. Recalcati, Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Milano, Raffaello Cortina, 2011.
21. G. Deleuze, F. Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Torino, Einaudi, 1975, p. 53.
22. Ivi, p. 4.
23. G. Deleuze, Due regimi di folli e altri scritti, cit., p. 255.
24. I. Kant, Critica del giudizio, Torino, UTET, 1993, p. 155.
25. F. Gabarron-Garcia, Clinique d’une pratique de la forclusion, 124, in “Chimères” 74, 2010, pp. 123-138.
26. Ivi, p. 130. Georges Didi-Huberman ha messo in luce l’influenza che hanno avuto sulla nascita della stessa psicanalisi le periodiche «presentazioni di donne malate» attraverso cui Jean-Martin Charcot, direttore della clinica Salpêtriere, «metteva in scena» l’isteria. Il giovane Freud, in effetti, assistette più volte alle «presentazioni» di Charcot, le quali incisero probabilmente sulle sue successive elaborazioni teoriche. Cfr. G. Didi-Huberman, L’invenzione dell’isteria. Charcot e l’iconografia fotografica della Salpêtriere, Genova, Marietti, 2008.
27. Le tre sintesi sono oggetto in Deleuze e Guattari di un’analitica delle macchine desideranti che introduce fondamentalmente i modi in cui il desiderio si «riproduce». L’«economia univoca» di Deleuze e Guattari sviluppa in tal senso la rielaborazione marxiana, nell’introduzione del 1857 alla Critica dell’economia politica, delle categorie dell’economia politica classica «come momenti di un solo e medesimo ciclo produttivo: produzione, registrazione e circolazione, distribuzione e consumo». Cfr. G. Sibertin-Blanc, Deleuze et L’Anti-Œdipe.La production du désir, Paris, Puf, 2010, pp. 33-45.
28. G. Deleuze, F. Guattari, L’anti-Edipo, cit., p. 98.
29. Ivi, p. 411.
30. G. Sibertin-Blanc, Deleuze et L’Anti-Œdipe. La production du désir, cit., p. 61.
31. Ivi, pp. 414-439.
32. J. Lacan, Il seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi, Torino, Einaudi, 1994, p. 401.
33. M. Foucault, Nascita della biopolitica, Milano, Feltrinelli, 2005, p. 49.