La vita e il numero
1. Una nuova immagine del pensiero si è insinuata nelle nostre menti: l’ideologia dell’immanenza. Mentre continuavamo ad assaporare la potenza dell’ultimo testo di Gilles Deleuze, cercando di approdare in quella vita affrancata da soggettività e oggettività, di affetti al di là del bene e del male, ci siamo ritrovati catturati dalle maglie del controllo, e catapultati nella più dogmatica delle morali: la verità, ora e subito, senza mediazione.
La costruzione della pura immanenza, una vita, dove l’articolo ci parla «dell’indeterminatezza della persona, ma anche della determinazione del singolare» è oggi rivendicata dagli agenti del “Data Behaviourism”, il cui sogno di annullare il fuori – ossia tutto ciò che non è riconducibile a dati e perciò computabile – è quasi giunto alla realizzazione. In questo mondo apparentemente a-trascendente, nulla può sottrarsi alla digitalizzazione, nessun virtuale resta escluso dal calcolo algoritmico, e ogni effetto – privato della relazione con qualsivoglia causalità, e dunque sempre e comunque presente – è già là, è già (sotto forma di) dato, pronto per essere scoperto o “catturato” da operazioni di correlazione e predizione. Immanenza totale e definitiva. Non sembra davvero realizzarsi l’immensità di quel tempo vuoto descritto da Deleuze, dove l’evento ancora a venire si vede come già arrivato, «nell’assoluto di una coscienza immediata»? E in questa immediatezza ed indistinguibilità del dato con i soggetti/oggetti, non sembra essere infine soppressa l’esistenza di qualsiasi idea trascendente?
«“Una” vita è ovunque in tutti i momenti attraversati da questo o quel soggetto vivente e misurati da tali oggetti vissuti: la vita immanente porta in sé gli eventi o le singolarità, e questi non fanno che attualizzarsi nei soggetti e negli oggetti». Sul piano immanente dei dati, non compare nessuna specificità individuale («la vita dell’individuo ha lasciato il posto a una vita impersonale»), solo una moltitudine di effetti decontestualizzati, che possono o meno accadere a seconda delle combinazioni di ciò che è dato, e in quanto tale slegato da qualsiasi relazione soggetto-oggetto. Sul piano del dato, ancora, nessuna individuazione è possibile, perché la qualità delle ecceità è la pura potenza: non è geografica né temporale, non dipende da un essere, non è sottoposta a un atto, ma soltanto al movimento distributorio e alle combinazioni che si verificano. Rizoma.
«”Una” vita gioca con la morte e nient’altro». Ma non si tratta della morte che spetta all’individuo, quanto della fredda qualità dell’inorganico, del numero, del dato, e del calcolo che li collega. Il soffio vitalistico che percorre “L’immanenza” sembra davvero poter restare incastrato nel labirinto della computazione totale, dove la velocità infinita del pensiero si converte nell’istantaneità della correlazione algoritmica.
2. Già nel 1990 Deleuze aveva previsto l’avvento di un simile scenario, ed affermato la necessità di apprendere a passare attraverso le fini reti di questa serpentina metamorfosi del potere. Il controllo: la nuova forza di un sistema a linguaggio numerico, nel quale la cifra contrassegna l’accesso a un mondo metastabile, fluttuante e tentacolare, in grado di afferrare ed inglobare ogni dettaglio delle esistenze per codificarlo nella sua scacchiera, dove ogni movimento è determinato, previsto, anticipato.
Ebbene, oggi tale logica della cifra come password ha saturato il quotidiano, e l’ingresso nel mondo del calcolo è diventata esperienza comune. Sono già state ben poste le basi di una rivoluzione biometrica, in cui la password non è più un codice alfanumerico, ma il corpo reale. La digitalizzazione degli elementi biologici è la chiave d’accesso di ogni porta, la voce e la retina hanno sostituito il codice nei casi che richiedono la massima sicurezza, e i wearables sono divenuti la nuova forma dell’ospedalizzazione, in grado di prescrivere una terapia senza più medico né malato. I suggerimenti di Francis Galton sono stati ascoltati e superati: le impronte digitali non sono solamente un’“inutile aggiunta in un severo sistema di passaporti”, ma il fondamento stesso della vita cifrata, oggetto del controllo tecnologico nell’epoca contemporanea. Ogni movimento è colto da questo apparato di cattura che ha come unico scopo quello di divorare ogni singolarità, al fine di sottrarvi (o piuttosto di farsi offrire) delle informazioni: così, i flussi di immigrazione, le transazioni dei capitali, le traiettorie degli uccelli, i profili Facebook, sono equiparati sotto il segno comune di un’identificazione alienante, come materiali fondanti della previsione automatizzata della vita pubblica e privata, e offerti in pasto al marketing, moderno campione della raccolta, canalizzazione e sfruttamento di dati.
3. La prima obiezione a tale stato la troviamo immaginata ancor prima della sua attualizzazione, negli anni ’60, quando Fernand Déligny comincerà a pensare la necessità di un’alternativa ai luoghi d’internamento e agli istituti di cura, che chiamerà “luoghi di vita”. Anti-istituzionale, anti-psichiatrico e anti-alienante, il luogo di vita si struttura nel Vivere-con, affinché sia la relazione di vicinanza con l’altro a permettere a “un” ragazzo («ce gamin-là») di essere considerato nella propria singolarità e nel suo essere parte di un tutto: “la rete”, da mostrare piuttosto che da spiegare. Lontano dall’essere un tentativo di normalizzazione all’interno di un quadro già esistente, e anziché fornire l’illusione di una ricreazione soggettiva di un sé, tale spazio si configura a sua volta come una serie di cartografie di progetti di soggettivazione in assenza di individuazione (Schérer). L’immanenza, luogo di vita, significa precisamente messa in parentesi della struttura economico-politica dominante, occasione per uscire dal proprio essere individui, possibilità di esistenza al di fuori della scelta – sempre altrui – di essere inclusi o meno in un certo stato-nazione, un posto di lavoro, una narrazione storica, un quadro di normalizzazione, un obiettivo della macchina da presa: quindi al di là di qualunque linguaggio si utilizzi per inquadrare (Pasolini). O per calcolare, essendo questo il gesto più distintivo dell’attuale società civile, guidato dalla bussola di una razionalità che desideriamo chiamare “scientifica”, obiettiva, operazionale.
4. Recentemente, gli aggiornamenti più suggestivi delle intuizioni deleuziane sul controllo sono stati operati da Antoinette Rouvroy, che con il concetto di “governamentalità algoritmica” ha smascherato l’apparente traiettoria di immanentizzazione assoluta del mondo digitale, descrivendola per ciò che è: una radicale forclusione degli ideali di emancipazione degli anni sessanta e settanta. L’ideologia dei Big Data non è altro che un ripiegamento su di sé del digitale, la cui neutralizzazione del “fuori” (e del pensiero del fuori) opera una trascendentizzazione dei propri modelli. «C’è una grande differenza tra i virtuali che definiscono l’immanenza del campo trascendentale e le forme possibili che li attualizzano e li trasformano in qualcosa di trascendente», scriveva Deleuze. Deleuze stesso sembra dunque suggerirci l’esistenza di una pista che conduce all’officina dove si costruiscono quelle “nuove armi” necessarie per controeffettuare la ricaptazione dell’immanenza nell’assolutizzazione del dato, e con essa la particolarizzazione delle singolarità (Stiegler), ma i nostri GPS mostrano solo tracciati interrotti. Ci accorgiamo che l’emersione dell’immanenza di “una vita” non può corrispondere alla formulazione di pattern che pretendono di esaurire il sapere sul mondo. E che il divenire impersonale che abbiamo intrapreso, quello che segmenta le esistenze in segnali digitali, coincide soltanto con la desingolarizzazione delle stesse. Pertanto, nel momento in cui il sottomere le singolarità alla calcolabilità provoca la perdita del loro carattere di novità, facendole divenire totalmente prevedibili, e la traduzione sistematica dei soggetti in profili a-personali, lungi dall’aumentare il loro grado di (auto)conoscenza, estende soltanto la capacità del sistema di sapere “cosa sono in grado di fare”, e di predire performativamente tale comportamento, è davvero ancora possibile liberarsi dalle spire di quel serpente chiamato società di controllo? E in tal caso, come pensarne il programma?
5. Il tema della risingolarizzazione dell’individuo, del suo riappropriarsi di “una vita”, è dunque inseparabile dalla critica alla razionalità algoritmica, così come “L’immanenza: una vita…” è inscindibile dal “Poscritto sulle società di controllo”. Ma è anche vero il contrario, poiché se un luogo di vita è ancora possibile, lo è in virtù di un ritorno al cuore stesso del pensiero di Deleuze, cioè a quell’empirismo trascendentale il cui Leitmotiv altro non è che una sostituzione radicale di ogni istanza di “condizionamento” con l’urgenza di una genesi autentica – e oggi più che mai la genesi di nuove forme di vita deve coincidere con la critica di ciò che stiamo diventando. Per tale motivo, di fronte alle imposture e alle menzogne del nostro tempo, ma anche in concomitanza agli onesti afflati accelerazionisti, la prima lotta da condurre è quella tra le tendenze che albergano in noi, “il combattimento tra noi stessi”, senza il quale ogni proclamato divenire non è che una sterile e goffa ripetizione della scrittura deleuziana. E quale combattimento più glorioso, più lacerante, più sublime, di quello ancora acceso dalla tensione tra il Poscritto e L’immanenza: una vita…?
TOPICS
Tecnologie biometriche e nuovi scenari delle società di controllo
Campo trascendentale impersonale
Governamentalità algoritmica e Big Data
Intercessori dell’immanenza deleuziana
Processi rivoluzionari e accelerazione
Algoritmi e general intellect
Nuove razionalità e dibattito sul realismo speculativo
Individuazione e dividuale
Automatizzazione e soggettività
Immediatezza, iper-mediazione e post-media
Vitalismo
Termine ultimo di consegna: 27 maggio 2016 [DEADLINE EXTENDED]
Inviare a: ladeleuziana_call@ladeleuziana.org
Si prega di consultare qui le nostre regole di pubblicazione e politiche di valutazione.