In questa call for papers, La Deleuziana propone di intraprendere un percorso attraverso il quale tentare di decostruire il prisma della paura che ci abita e di pensare ai rudimenti di una pratica filosofica adeguata alla sfida del momento presente. A questo scopo, incoraggiamo una riflessione collettiva sul concetto di eccesso, storicamente legato a Georges Bataille, allo scopo di trasformarlo in un’arma che sia all’altezza di questo tempo di angoscia, di incertezza e di dolore. L’intensità con la quale il quotidiano in cui siamo immersi ci chiama, sia nell’ordine delle cose che nell’ordine vitale, è in effetti senza precedenti, ma è proprio nell’articolazione tra l’ordine della coscienza e del progettuale e l’ordine intimo proprio al mondo animale che possiamo trovare un punto di partenza a partire dal quale creare il nostro «avvenire». Potrebbe in fondo essere proprio questa la lezione più importante che Deleuze ci ha insegnato.
L’esperienza comune a livello mondiale è oggi quella di una messa in questione e di una ridefinizione dell’utile, dell’essenziale, del necessario e dell’inalienabile della vita. La facilità e la rapidità con la quale tali nozioni sono state ripensate globalmente ci costringe a un doppio movimento teorico: da una parte, come i filosofi della biopolitica hanno opportunamente sottolineato, non esiste nozione prestabilita a livello socio-antropologico che possa resistere innanzi all’invocazione dello stato d’eccezione, in cui, affinché una misura preventiva diventi operativa, il semplice appello alla sopravvivenza sembra essere sufficiente. D’altra parte, emerge un movimento parallelo, e in qualche misura opposto: la lotta per la sopravvivenza si innesta sulla paura della morte, una paura che Bataille aveva definito precisamente nei termini di una dissoluzione dell’ordine del reale e della stabilità che quest’ultimo richiede. Ed è proprio seguendo questa direzione, ossia quella di una antropologia della paura, per restare nei termini batalliani, che si scopre una critica radicale alla nozione di utile, nozione falsificante legata alle idee di conservazione e di acquisizione. La dimensione improduttiva della dépense, cioè del movimento di dissoluzione dell’ordine delle cose, ci mostra la posta in gioco paradossale sulla quale tale ordine, ossia l’ordine coscienziale, si fonda: un soggetto attribuisce una posizione trascendente agli oggetti socio-politico-economici (la Legge, lo Stato, il Capitale) a partire da se stesso, oggettivandosi e auto-separandosi così dal reale. A partire da questo movimento, l’ego che si trova alla base di ogni genealogia, questo ego «irreale quanto l’origine nello spazio cartesiano», come scrive Bourdieu, riconosce il carattere relativo del suo essere e, di conseguenza, l’arbitrarietà delle sue costruzioni. Ecco perché una antropologia di matrice maussiana, atta a oltrepassare la logica del consumo, per riversarsi nel regno del senza misura, apre alla dimensione dell’eccesso, ossia della tensione che mette in crisi non soltanto la luce metaforica della conoscenza e dell’equilibrio (Bataille parla i una «umanità cosciente che è rimasta minore»), ma anche, una volta privato del suo carattere sacrale, della dualità soggetto-oggetto. In questo senso, la dépense diventa indifferente al proprio destino, al consumo di sé, oggetto indefinibile in un diagramma che ha perduto i propri assi di riferimento. Se la versione deleuziana della dualità ordine delle cose/ordine intimo si traduce nella coppia concettuale molare/molecolare, lo sforzo deleuziano, tuttavia, non fa della dépense un concetto chiave e non la identifica come tensione unidirezionale da seguire, ma la inserisce nello spazio d’interazione tra quelle due dimensioni, perché «la genesi della macchina ha luogo sul posto, nell’opposizione tra processo di produzione delle macchine desideranti e stazione improduttiva del corpo senza organi». L’eccesso diventa allora il nome del montaggio asimmetrico, artificiale e libero allo stesso tempo, perché sempre da fare, tra queste due molteplicità non identiche, articolazione gioiosa e sempre in movimento del reale. L’altra costruzione possibile a tal proposito, ossia il tentativo di modellare una delle due dimensioni sull’altra, si genera, al contrario, a partire da quella che Spinoza avrebbe definito una passione negativa, ossia a partire dalla paura.
Ecco perché la paura paralizzante che proviamo innanzi a un mondo che ci mostra lo scarto tra la nostra lettura cognitiva dei fenomeni, unità parziale ottenuta per assemblaggio, e l’unità totale della complessità semplice dell’esperienza vissuta per integrazione continua, non può e non deve diventare la base epistemico-sociologica del pensiero. Gli eventi presenti ci costringono a pensare nella costrizione trascendentale alla quale la crisi immanente ci chiede di far fronte; lo stato di reclusione nel quale ognuno di noi si ritrova in questo momento, a causa della malattia o dell’isolamento, non impedisce l’impresa collettiva di una «grande Salute», cuore pulsante della letteratura e della filosofia. Essere medico di se stesso e del mondo al tempo stesso significa non rinunciare a vivere con intensità l’evento che stiamo attraversando, ma accedere, al contrario, alla sua dimensione eccessiva e trasformativa, giocare un ruolo sia nel nostro diventare-altro che nel divenire-altro del mondo intero. In questo senso, come il numero dedicato alla letteratura aveva mostrato, l’analisi fisiologica del sintomo taglia il proprio legame biologico con la malattia, per ritrovare nella sua epistemologia un nuovo senso, ossia l’idea di «ciò che sopravvive insieme» o che «co-incide». Le figurazioni di questo «coincidere» nell’ordine delle cose e del vissuto, o, per dirlo con Bergson, nell’ordine spaziale e nello slancio vitale, sono molteplici:
- La prima figurazione è la coincidenza, forse la più intensa e la più pericolosa. Ismaele assiste impotente al movimento di sovrapposizione impossibile del Capitano Achab, il solitario, con il grande mostro marino: sembra infatti che la protesi che Achab è costretto a utilizzare, e che, paradossalmente, rimpiazza la gamba che un cetaceo gli ha portato via proprio con un osso di balena, rivela la simbiosi impossibile tra i due, il rigetto, mentale e fisico al contempo, del trapianto. Tale dimensione eccessiva della coincidenza è forse ancora più chiara nel Su Nietzsche di Bataille, dove si traduce in una scrittura filosofica, letteraria e autobiografica al contempo. Nella sua ricerca dell’uomo totale, Bataille rifiuta la storia e l’interpretazione per immergersi nell’esperienza del pensiero nietzschiano. Così, egli rinuncia a una lettura cronologicamente ordinata dell’esperienza vissuta, ossia a ogni teologia, rapporto di causalità, progetto, moralità, in favore di una «amicizia totale dell’uomo a se stesso», traccia di una filosofia dell’avvenire, in cui ogni istante oltrepassa l’alternativa tra senso e non-senso per affermarsi nella propria pienezza. Questa prima figurazione ci insegna allora che il pensiero che rifiuta il non-senso è un pensiero che rifiuta al contempo l’essere totale, l’impossibilità di sbarazzarsi della trascendenza e, di conseguenza, di fare l’esperienza della vertigine dell’immanenza. Ma tale vertigine non può essere raggiunta se non dicendo «noi», come fa Nietzsche. Ecco il non detto della figurazione della coincidenza: le avventure del Capitano Achab non sarebbero possibili senza una voce narrante, quella di Ismaele, e un equipaggio, non vi sarebbe alcuna chance batalliana senza un gioco collettivo che definisce l’impossibile. La riflessione solitaria sulla morte si trasforma in esperienza collettiva del limite, espressione più potente della vita: ecco perché «la scrittura non è mai stata l’oggetto del capitalismo»;
- La seconda figurazione è la contestazione, ovvero il movimento attraverso il quale un vissuto condiziona il reale. Tra gli esempi deleuziani di contestazione come strategia di strutturazione del mondo, troviamo la contestazione dell’ordine delle cose di Sade e Masoch. La contestazione si fonda infatti sulla messa in questione della Legge, con gli strumenti dell’ironia e dell’humour, allo scopo di capovolgerlo. In quel caso, l’eccesso si incarna nel vissuto e co-affetta il reale rovesciandone l’ordine, denuncia il tiranno come prodotto della legge e sottrae la società alle esigenze capitalistiche della conservazione. L’anarchia, nel suo emergere tra due regimi di legge, non testimonia soltanto della propria differenza radicale rispetto a ogni altro sistema della legge, ma anche della propria capacità di forgiarlo: Sade ci ricorda in effetti che nel momento in cui il governo deve rinnovare la propria costituzione non può non rivolgersi all’anarchia. La sospensione del tempo della politica diventa il luogo di una trasformazione possibile delle istituzioni e del corpo sociale. Il punto più alto di questa contestazione dello Stato la si trova nella critica all’Urstaat, per come la troviamo nell’Anti-Edipo, dove scopriamo che «lo Stato dispotico è sì l’origine, ma origine come astrazione che deve comprendere la propria differenza rispetto al cominciamento originario». Nel caso della contestazione, è allora l’eccesso del cominciamento concreto a mettere in crisi la dimensione astratta all’interno della quale l’Urstaat è dato in un colpo solo e già armato, è il desiderio di un corpo che oltrepassa il desiderio di ogni Stato. Con Masoch, l’eccesso di zelo nell’applicazione della legge mostra i propri effetti paradossali: è a questo punto che diventa chiaro che il dominio dell’assurdo è il regno in cui la catena delle cause e degli effetti viene improvvisamente distrutta. Non appena il sintomo smette di essere considerato un mero effetto della malattia su un corpo passivo, diventa possibile pensarlo al contrario come la reazione esagerata, apparentemente auto-sabotante eppure salvifica, di un vissuto innanzi all’ordine delle cose. Ed è proprio in questo divenire quasi-causa di se stessi che una nuova sanità emerge e apre la possibilità della resistenza;
- Terza figurazione è la co-incisione. Incidere significa lasciare un segno attraverso una pratica, orientare la critica e la clinica verso la pratica. La co-incisione si dà in ogni momento in cui l’eccesso disegna la propria linea di fuga nell’ordine delle cose: così, la patologia non è soltanto lo scarto di ciò che definiamo salute, ma anche la posizione a partire dalla quale erodere il sapere. In parallelo, il minore non lascia il maggiore intatto, ma crea una concatenazione collettiva di enunciazione il cui risultato più potente è una messa in discussione radicale della soggettività. La pratica della schizoanalisi (che La Deleuziana ha esplorato nel suo numero 9), è forse l’incarnazione per eccellenza di questo sforzo trasformativo del reale. È qui infatti che la produzione della soggettività si offre allo sguardo diagnostico di chi non cura la malattia che il corpo biologico affronta oggi, bensì quella che coinvolgerà domani il corpo sociale. Nella co-incisione, il limite tra individuo e collettività è abbandonato, il movimento centripeto paranoide lascia spazio alla molteplicità delle centrifugazioni schizoidi. A partire dalla co-incisione, un nuovo paradigma etico-estetico, per dirla con Guattari, diventa possibile.
Attraverso queste tre figurazioni, possiamo resistere all’effetto oggettivizzante della paura e della reclusione, senza per questo affondare nella deriva dell’auto-analisi ossessiva, a favore di un discorso collettivo che miri alla «grande Salute». L’eccesso si configura allora, attraverso le tre figurazioni, come posizione teorica e pratica al contempo alternativa al sopravvivalismo, che consiste nel vivere il meno possibile, a ridurre l’esistenza allo stretto necessario (e che condivide una certa tradizione americana legata all’individualismo, al ciascuno per sé, se non all’isolamento e alla xenofobia, molto influente nelle correnti libertarie e nazionaliste d’estrema destra) e al capitalismo globalizzante, che mostra oggi più che mai i suoi limiti intrinsechi.
Topics:
- L’eccesso che viviamo, l’eccesso che siamo;
- Strategie di contro-effettuazione della paura;
- Anarchia come forma del pensiero;
- Analisi e critica del controllo biopolitico;
- Pratiche di liberazione di un corpo isolato e confinato;
- L’eccesso (versante improduttivo della dépense) come figura simmetrica opposta a quella dell’austerità delle politiche neoliberali e come “rimedio” alla recessione economica (che colpirà con forza ancora maggiore dopo la pandemia Covid-19); più in generale, la questione del debito (pubblico o di altro tipo) e della sua cancellazione;
- Alternative alle analisi biopolitiche delle misure statali di confinamento come riduzione a una condizione puramente biologica: il confinamento può essere anche un momento di “ri-individualizzazione” attraverso il quale l’individuo riscopre le proprie dimensioni politiche e sociali?
- Distinguere i buoni eccessi (armi per lottare contro la paura paralizzante) dai cattivi eccessi (eccessi depotenzianti);
- Ridefinizione dell’utile, dell’essenziale, del necessario, dell’inalienabile della vita;
- Virus come ciò che ci eccede, ciò che è eccessivo in noi stessi (è in noi, perché lo ospitiamo, ma non è noi) e il risultato del nostro eccesso, del nostro essere fuori da noi stessi (le malattie infettive emergono dalle trasformazioni delle relazioni uomini/animali, specialmente dove l’agricoltura industriale e la deforestazione avvicinano gli animali agli uomini); la questione della relazione, come imparare a vivere con gli animali, come fare società con il virus;
- Eccesso come alternativa al sopravvivalismo e al capitalismo.
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15 settembre 2020: Deadline per l’invio degli articoli
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15 dicembre 2020: pre-print e pubblicazione